COSÌ VICINA COSÌ LONTANA
Arte in Albania prima e dopo il 1990
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
dal 12 novembre 2009 al 7 febbraio 2010
“I regimi totalitari hanno risposte pronte per tutte le domande. In Albania, quando studiavo, alla domanda sulla società, la risposta era il Comunismo. Alla do¬manda sull'arte, la risposta era il Rea¬lismo Socialista: un'arte tradizionale, didattica, che doveva essere figura¬tiva nella forma e socialista nel conte¬nuto". Così Adrian Paci, 40 anni, forse il più noto degli artisti albanesi delle ultime generazioni, descrive la situa¬zione culturale del suo paese alla vigi¬lia del ritorno alla democrazia con le elezioni del 1991.
La distanza fra la produzione arti¬stica albanese di quel periodo e le ri¬cerche attuali si può misurare oggi confrontando fra loro le opere pre¬sentate nella mostra "Così vicina. Così lontana. Arte in Albania prima e dopo il 1990" allestita a Genova dal Museo di Villa Croce fino al 7 febbraio (martedì-venerdì ore 9-18.30, sabato e domenica ore 10-18.30, lunedì chiuso). Nel percorso della rassegna, ordinato attorno ai temi della città, del lavoro, della comunicazione, della donna, della condizione dell'artista, accanto ai dipinti della collezione di Realismo Socialista della Galleria Na¬zionale d'Arte di Tirana, sono infatti esposte opere di autori della scena at¬tuale, che agli schemi dogmatici dei loro predecessori contrappongono una impostazione fortemente pro-blematica. Contrariamente al forzato ottimismo ideologico dei primi, volti a tradurre in immagini la retorica del regime, "i lavori degli artisti contem¬poranei, particolarmente degli ultimi anni - osserva in catalogo Rubens Shima - "suscitano dubbi, pongono domande, ironizzano, documentano un'amara realtà, cercano di penetrare nella psiche oscura dell'individuo".
Così al quadro del 1976 di Pandi Mele che raffigura un partigiano nell'atto di comunicare da Radio Ti¬rana la notizia della liberazione fa da contrappunto il video di Gentian Shkurti, "Patriotic Lyrics" (2004) dove l'artista declama versi che si dis-solvono in un rumore incomprensi¬bile. E, analogamente, allo stereotipo progressista della coppia effigiata da Clirim Ceka in "Noi lavoriamo e stu¬diamo" (1969) si giustappongono le coppie interscambiabili di Elsa Mar¬tini ("Votate la vostra coppia prefe¬rita", 2005). Un'antitesi consimile si coglie fra l'epica concitazione che ca¬ratterizza i "Lavoratori petroliferi", (1984) di Agim Shami e il video "Ma¬rinza Project" (2008) che documenta l'inquinamento prodotto dall'omo¬nimo campo di estrazione, mentre una più sottile dialettica anima "Da grande,vorrei fare l'artista" (2007) di Driant Zeneli che attraverso le vi¬cende del padre, pittore di regime, e del figlio, autore del video, evidenzia le radicali diversità fra gli orienta¬menti artistici di due epoche.
Se in questo raffronto risiede l'asse concettuale della mostra non va sot¬taciuto che, nonostante le pesanti ipoteche costituite dai contenuti ide¬ologici e da un modello formale defi¬nito negli anni '30 e non più aggior¬nato, le opere del Realismo Socialista esposte in questa occasione manten¬gono una vitalità insospettabile, di¬scosta dai clichés oleografici cui si è soliti apparentarle e memore invece della tradizione impressionista e pri¬monovecentesca che secondo Ekate¬rina Degot' ne rappresentano le va¬rianti stilistiche più diffuse nel conte¬sto dell'Est europeo.
[Sandro Ricaldone, 2/12/2009]