BAD GIRLS
Good Girls Go to Heaven
Bad Girls Go Everywhere
Unimedia Modern - Vision Quest
dal 23 febbraio al 30 marzo 2010
"Le brave ragazze vanno in paradiso" - diceva Mae West, la grande attrice, sex symbol degli anni '30 - "le ragazze cattive vanno dappertutto".
Una frase che ancor oggi suona come una sfrontata rivendicazione di autonomia ed ha originato, nel tempo, una tipologia femminile trasgressiva, cui si sono ispirati film, serie televisive, album musicali. E, s'intende, rassegne d'arte.
Così oggi quarantatre "Bad Girls" irrompono sulla scena genovese, riunite sino a fine marzo da Caterina Gualco e Clelia Belgrado negli spazi di Unimedia Modern e di Vision Quest, con l'inquadramento critico di Viana Conti.
Nell'intento di riaffermare la centralità del "corpo sensoriale ed emozionale della donna some soggetto creativo primario", in opposizione ad un contesto sociale che è solito ridurlo a "segno riproducibile serialmente", viene proposto un fitto allestimento dove i lavori di autrici "storiche" (fra cui spiccano Marina Abramovic, Yoko Ono, Orlan e Niki de Saint-Phalle), di artiste affermate (Vanessa Beecroft, Nan Goldin, Kiki Smith) e di giovani emergenti sono accostati alternando provocazioni graffianti ad esercizi ludici; affondi meditativi a percorsi rituali.
Al primo versante appartengono le incisioni di Carol Rama, ribelle ultranovantenne, nelle quali campeggia l'organo femminile e il "Copricorpo" della giovane Zoë Gruni, un enorme sacco che dilata grottescamente gli attributi sessuali; la fotografia di Charlotte Moorman, esponente di Fluxus, mentre esegue semisvestita l'"Opera Sextronique" di Nam June Paik e la Bambola gonfiabile di Limbania Fieschi, scompostamente distesa su una sedia, circondata da un boa di piume rosse. E, ancora, l'"actio postume" di Gina Pane, protagonista della Body Art, che presenta il volto dell'artista brulicante di vermi.
Fra gli exploits ludici si annoverano lo "scoiattolo" creato da Meret Oppenheim, musa surrealista, con un boccale di birra e un lembo di pelliccia, così come la coppa di Silvia Levenson, riempita di bombe a mano in vetro rosa, ed i collages realizzati da Berty Skuber con francobolli su cui sono riprodotti volti di donne.
Sono invece caratterizzate da un'intonazione meditativa "Mahdokht", di Shirin Neshat, una stampa fotografica che ritrae l'autrice intenta a lavorare a maglia in un bosco e l'inquadratura - proposta da Silvia Camporesi - di una giovane sulle cui labbra è posata una sfinge testa di morto, mentre una dimensione rituale sostanzia, lungo direttrici diverse, le immagini di Anna Oberto e di Mirta Kokalj.
Da questo insieme emerge un panorama complesso, nel quale crudeltà e sogno si legano stabilendo un confine che si potrebbe definire magico, affascinante ed insidioso insieme, per il quale vale l'osservazione di Chesterton: "Non ho detto che sia sbagliato entrare nel regno delle fate. Ho solo detto che è sempre pericoloso".
[Sandro Ricaldone, 6/3/2010]