DANIEL SPOERRI
Dai Tableaux-pièges agli Idoli di Prillwitz
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
dal 24 marzo al 20 giugno 2010
Una cascata di oggetti: candelabri, maschere tribali, un mappamondo, dei cappelli, una pipa, un manichino. Un idolo che ha la sagoma rigonfia dell'omino Michelin sormontata da un'enorme chela di crostaceo.
Sono, queste, due fra le opere nelle quali il visitatore s'imbatterà entrando nel Museo di Villa Croce dal prossimo mercoledì, quando vi sarà inaugurata la mostra con cui Daniel Spoerri, maestro da tempo consacrato, festeggia i suoi ottant'anni.
Si tratta di lavori che mantengono, anche a distanza di tempo, un impatto deciso e che dietro alla semplicità del procedimento celano una genesi complessa, strettamente congiunta alla vicenda biografica dell'autore, iniziata nell'alone della tragedia.
L'infanzia dell'artista romeno-svizzero, nato a Galati il 27 marzo 1930, risulta infatti profondamente segnata dalla scomparsa del padre, Isaac Feinstein, un boxeur ebreo divenuto missionario della chiesa luterana norvegese, sequestrato nel 1941 dai legionari romeni alleati dei nazisti.
Rifugiatosi l'anno seguente con la madre e i fratelli a Zurigo, dove lo zio, Théophile Spoerri, rivestiva la carica di rettore dell'Università, il giovane Daniel (che assume il cognome della famiglia materna per prevenire nuove traversie in caso d'invasione nazista) alterna periodi di studio a modesti impieghi: commesso, cameriere, venditore di legumi.
E' in quest'ultima veste che conosce Jean Tinguely, di cui in seguito finanzierà le prime sculture in movimento fatte di scarti metallici. Inizia allora a scrivere poesie, ma rinuncia quando il manoscritto gli viene sottratto mentre dorme sotto un ponte.
E in un'occasione consimile, nel 1949, incontra Max Terpis, già coreografo dell'Opera di Berlino, che lo avvia alla danza: quattro anni dopo diventerà primo ballerino dell'Opera di Berna. Intanto va a Parigi, dove si interessa di teatro (vede tra l'altro "La cantatrice calva" di Ionesco, che allestirà poi in Svizzera dove mette in scena anche "Il desiderio preso per la coda" di Picasso).
Nel 1959 passa a Darmstadt come aiuto-regista e qui pubblica "Material" una rivista di "poesia concreta", ispirata alle rigorose geometrie di alcuni suoi amici pittori. Conclude i suoi anni d'apprendistato nel dicembre di quell'anno, promuovendo una serie di multipli di Duchamp, Soto, Tinguely, Vasarely, che espone alla Galerie Loeb di Parigi.
Entrato ormai nel circuito delle arti visive, crea nel 1960 il tableau-piège, il quadro-trappola cui è legata la sua notorietà. Pensato in opposizione al "movimento" che caratterizzava il lavoro di Tinguely ed alla concentrazione di Yves Klein sulla dimensione "immateriale", il quadro-trappola è "immobilità" e "oggettualità" allo stato puro. L'artista lo produce fissando al supporto su cui le incontra "situazioni trovate per caso".
Questa invenzione gli dà modo di firmare, nell'ottobre di quell'anno, insieme a Klein, Tinguely, Arman, Raysse, Hains, Villeglé e Dufrêne, il primo manifesto del Nouveau Réalisme, un raggruppamento patrocinato dal critico Pierre Restany, che intendeva proporre nuovi approcci percettivi al reale, una sorta di contraltare europeo al New Dada americano.
I più noti fra i "quadri-trappola", ampiamente documentati nella rassegna di Villa Croce - curata da Sandra Solimano e Barbara Raedescheidt - Spoerri li realizza incollando al tavolo le stoviglie abbandonate al termine del pranzo, che poi ingloba in teche di plexiglass e sospende verticalmente.
Di qui nasce l'idea del "Restaurant de la Galerie J." (1963) dove - in una parodia sovvertitrice del sistema dell'arte - l'artista predispone il menu, il critico lo serve al pubblico, e quest'ultimo, mangiando, realizza il quadro, così come la proposta della EAT ART (1970), nel cui ambito l'opera viene composta con materiali commestibili.
Nel corso degli anni Spoerri cercherà di sfuggire al marchio che il tableau-piége ha impresso sul suo percorso giungendo addirittura a seppellirlo, nel 1983, nel corso di una manifestazione alla Fondation Cartier di Parigi.
Ma in qualche modo il suo nucleo, "la situazione trovata e la sua teatralizzazione", riemerge, attraverso il peculiare assemblaggio, nelle altre serie esposte: dalle "Investigazioni criminali" (anni '70-'90), basate sulla associazione di oggetti a immagini da manuale di criminologia ai "Background Landscapes" dei tardi anni '90 (già esposti a Genova nel 2001 da Caterina Gualco) ed oltre, sino alla "Catena genetica del mercato delle pulci", avviata nel 2000, ed ai recenti "Idoli di Prillwitz" (2005), imponenti statue bronzee dalla parvenza inquietante.
[Sandro Ricaldone, 24/3/2010]