tr@ct 28

14 luglio 2010



mostre e artisti
a Genova
2009 - 2010



-  MC#2
    Museum Collection #2


-  Martini & Ronchetti:
    40 anni


-  Bruno Rombi
    all'Art Club Il Doge


-  Volti, forme, corpi
    dei cantieri


-  Sergio Giordanelli
    Le querce sacre di Barbizon


-  Nanni Balestrini
    rimbalzanoinfinitiistanti
    sparpagliati


-  Luca Vitone
    Il volo del grifo


-  Luca Ottonelli
    al Museo Luzzati


-  Daniel Spoerri
    Dai Tableaux-pièges
    agli Idoli di Prillwitz


-  Bad Girls
    Good Girls Go to Heaven
    Bad Girls Go Everywhere


-  Da Fattori a Previati
    Una raccolta ritrovata


-  Carlo Merello
    L'autoritratto indiretto


-  Così vicina così lontana
    Arte in Albania
    prima e dopo il 1990


-  Stefano Grattarola
    Stanze: attenuazioni e riduzioni


 

STEFANO GRATTAROLA
Stanze: attenuazioni e riduzioni


1 - SPAZIO DETERMINATO
sculture - visione nostalgica

la casa. è grande e d’altri tempi. si erge su un’altura verde, in legno e pietra, alta, stretta, sgraziata, ogni lato sembra pendere in una direzione diversa.
John Banville, Isola con fantasmi.

Legno, pietra, cera. Gesso. Cubicoli grigi, rossi, bianchi; tozzi o slanciati, diritti e obliqui, sovrapposti a formare torri dalla struttura forte e dall’apparenza precaria. Edifici che si alzano come colonne vertebrali consegnate ad una forzata immobilità. Rovine di baluardi, scheletri di costruzioni in divenire, flauti di pietra. Lontane dalla biblica sfida al cielo delineata da Pieter Bruegel, come dal visionario torrione volante dipinto dal Sassetta nella “Carità di San Francesco” dell’altare di Borgo San Sepolcro o dalla selva giottesca di pinnacoli che nella Basilica superiore di Assisi sormonta la “Cacciata dei diavoli da Arezzo”. E ugualmente distanti, in un raffronto che coinvolge un tempo più vicino al nostro, dall’enigma metafisico che permea le intatte cuspidi di De Chirico, cui le apparenta soltanto, oltre alla sottesa componente archetipica, il profilo solitario, essenziale. Forse è nella stretta contemporaneità che si può rintracciare – quanto meno sul piano esteriore, tralasciando le implicazioni relative alla scala dimensionale – una più distinta affinità: con “I sette palazzi celesti” eretti da Anselm Kiefer a Milano, nell’Hangar Bicocca. Qui, però, è la dichiarata connessione alla mistica ebraica (un percorso che ascende verso la luce divina) a connotare l’opera, mentre nella visione di Stefano Grattarola sono il flusso temporale e la persistenza della memoria a costituirne il nucleo profondo. Il soggetto della scultura-torre, indagato in un ciclo di lavori compiuto nel 2008, pur conservando in sé tutte le suggestioni cui s’è fatto cenno, assume questi motivi con piena lucidità. La sua scansione in piani (anche fisicamente disgiunti), secondo una successione verticale di stanze (unità elementari di spazio determinato), non discende semplicemente dalla mimesi di un modello consuetudinario; vuole alludere, piuttosto, sul piano metaforico, ad una stratificazione di periodi, al condensarsi del ricordo attorno ad una pluralità di centri vitali, sotto la spinta di un movimento a ritroso, per assicurarne la durata.

2 - ATTENUAZIONI E RIDUZIONI
foto lambda - visione onirica

mondi dentro mondi. scolorano l’uno nell’altro. io sono al tempo stesso qui e lì, allora e adesso, come per magia. penso all’immobilità che vive negli abissi degli specchi. non è il nostro mondo che si riflette lì. è un luogo completamente diverso, un altro universo, fatto con scaltrezza a imitazione del nostro.
John Banville, Isola con fantasmi.

Le stanze della memoria hanno pareti spesse, salde, compatte. Il loro contenuto non è per gli occhi ma per il pensiero, alla ricerca di un travaso di vita nel “ghirigoro di nostalgie” evocato da Ungaretti. È, più che immagine, racconto. La visione si schiude invece, contaminata, talvolta rivelatrice, nelle stanze del sogno, non più costruite nella consistenza della materia, ma fissate nell’istantaneità dello scatto fotografico. Qui la luce attraversa l’oscurità con un taglio netto, rischiarando sfere lattescenti e nubi d’ovatta, inquietanti agglomerati di pelle, fiamme divoratrici. Qui soltanto le facciate possono rivolgersi all’interno, i pavimenti gettare tronchi, i treni irrompere inopinatamente su una distesa di sassi. Benché l’elemento onirico stabilisca un punto di contatto con le esplorazioni surrealiste degli anni ’30, l’artista non ne riprende in questa sequenza le istanze di sovversione dell’immagine, enunciate nel titolo di un volume postumo di Paul Nougé, la forzatura dei codici alla ricerca dell’imprevisto. Così pure prende le distanze dal lavoro degli anni ’70 di James Casebere, teso a “trasformare la natura mondana, familiare e domestica della vita contemporanea per trovare lo straordinario nel quotidiano”, puntando invece alla raffigurazione di microcosmi latenti, possibili e in certo modo reali nell’“altro universo” preconizzato da Banville. Un universo che imita il nostro, cercando di attenuarne e ridurne l’ambiguità nella nitidezza dei contorni, nella lancinante esibizione degli oggetti: selve di siringhe oscillanti a mezz’aria, un cuore slabbrato appeso a due uncini.

3 - ORE SENZA CONTORNO
pitture - visione notturna

qualcosa stride e poi tace. tacitato, segreto mondo! la porta posteriore è aperta, scatola capovolta di soffice buio nero; scivolare lì dentro leggero come una brezza, toccare qua e là, queste cose in penombra con il tocco di piuma di un cieco. l'andito stretto accanto alle scale odore di calce, l'ingresso è sgargiante di luce. voci. di sopra una porta si apre e risuonano rapidi passi. ascoltate!, stanno vivendo le loro piccole vite.
John Banville, Isola con fantasmi.

Alla nitida determinazione della visione onirica fanno riscontro la mobilità e l’indefinitezza del “notturno”, suscitatore di scandalo già nella variante ottocentesca di Whistler, al punto di indurre un critico dell’acutezza di Ruskin a respingerla, parlandone come di un “barattolo di pittura scagliato in faccia al pubblico”. Nell’oscurità, nel dormiveglia, si aprono alla percezione, a un livello di poco inferiore al pensiero diurno, nuovi percorsi, interstizi dove si possono cogliere brani di una realtà intermedia, “precari appigli a frammenti di rappresentazioni che, appena presa forma nel baratro del sonno, si disfano, si suddividono all'infinito nell'incoerenza, milioni di inafferrabili nulla, sdrucciolamenti successivi, depositari di un'unica verità: un'assenza che, onda immensa, li mescola e disperde” (Yves Bonnefoy). Così Stefano Grattarola si addentra nel buio di camere, corridoi e tunnel per giocare, come recita un suo titolo, “i giochi della notte”, intervenendo su inquadrature fotografiche con il pennello, a sfocare i contorni delle ore, a chiuderle nelle masse cupe del disegno. Nelle atmosfere claustrofobiche di questi ambienti si esercita a far propria la lezione della tenebra, erigendo mura dove il verde si frammischia al nero, il nero al bruno, con marcati richiami tattili, che accennano all’incombere del presente; aprendo in lontananza angusti spiragli, mete di non realizzati “preparativi di fuga”. Non realizzati e forse non realizzabili, poiché quello che l’artista traccia in queste nuove stanze non è in definitiva – come ancora svela il titolo di uno dei suoi lavori – che l’invarcabile “perimetro dell’io”.

[Sandro Ricaldone, 25/11/2009]