MARTINI & RONCHETTI: 40 ANNI
Sono un traguardo difficile da raggiungere per una galleria d'arte, quarant'anni. Un periodo lungo più di quanto sia esistito il Futurismo, quasi quanto il Surrealismo, per citare due fra i movimenti artistici contemporanei più longevi. Abbastanza, quindi, per lasciare una traccia significativa nella vicenda culturale di una città e non solo. Ma non troppo, per un'avventura che continui ad essere sperimentata con passione, "sul lato assolato della strada", come recitava una canzone degli anni '30, presa ad emblema di una professione che può dar sapore alla vita.
Questa soglia l'ha varcata ormai da qualche mese la galleria Martini & Ronchetti, nata come Pourquoi pas? in piazza delle Vigne, nel novembre 1969. A fondarla era stato Alberto Ronchetti, prematuramente scomparso nel 2003, affiancato l'anno successivo da Gianni Martini, che tuttora ne prosegue l'attività. "E' stato un inizio difficile - racconta Martini - eravamo molto giovani, con pochissimi soldi. E passammo anche qualche guaio". A procurarglielo fu una delle prime esposizioni, dedicata ad Allen Jones, personaggio di spicco della Pop Art britannica: "Avevamo in vetrina la sua poltrona, una pin-up in topless distesa sulla schiena con le gambe ripiegate a reggere un cuscino di cuoio. La Questura intervenne per farci chiudere la mostra. Così, per tenerla aperta, dovemmo vietare l'accesso ai minori e velare i ve-tri".
Presto si definisce la linea della galleria. Una mostra di Man Ray apre la ricerca sulle avanguardie storiche e la fotografia, che prosegue con Laszlo Moholy-Nagy, protagonista del Bauhaus, e Florence Henri, di cui la galleria gestirà poi l'archivio, collaborando a mostre in sedi prestigiose come il Centre Pompidou ed il San Francisco Museum of Modern Art. Martini ricorda: "Cercammo Florence disperatamente. Avevamo trovato su "Stile futurista", la rivista di Fillia comprata su una bancarella, alcune sue foto astratte. Scrivemmo in tutta Europa. A darci un'indicazione fu Alberto Sartoris, il celebre architetto razionalista, che ci indirizzò a un altro fotografo, Willy Maywald. Ci precipitammo da lui a Parigi. Lo trovammo che stava uscendo per andare a trovarla".
Sarà poi una mostra della Henri al Musée d'Art moderne de la Ville de Paris a propiziare l'incontro con un altro grande artista: l'olandese Cesar Domela, esponente di De Stijl, di cui la galleria divulgherà per prima l'opera fotografica.
Accanto all'esplorazione della fotografia delle avanguardie storiche, si aprivano altri filoni d'indagine: l'astrattismo italiano, tra Veronesi e il Gruppo di Como; il Futurismo, con Depero, Russolo, Prampolini, Del Marle; il Raggismo russo, con Larionov e la Gontcharova. "Abbiamo cercato di riportare in luce figure e innovazioni di linguaggio importanti, che all'epoca erano quasi dimenticate, attivando contatti con altre realtà, con l'idea che conoscenze e relazioni più ampie fossero essenziali per la crescita culturale nostra e della città".
Un momento saliente in questo senso fu costituito dall'incontro con il teorico francese dell'"art autre", Michel Tapié, venuto a presentare l'esposizione "New York - San Francisco. Quindici pittori dell'Action Painting", con la quale nel 1973 è stata inaugurata l'attuale sede di Via Roma.
Vi si scandagliava, sul versante americano, il tema dell'informale, oggi riproposto con la mostra "Informel. Il rifiuto della forma tra gesto e materia" che di nuovo raccoglie opere di una quindicina di autori fra cui Fautrier, Mathieu, Hartung, Fontana, Scialoja, Scanavino, Jorn e Gallizio.
Proprio a quest'ultimo - tra i fondatori, anni prima, dell'Internazionale Situazionista, propugnatrice del superamento dell'arte - è legato uno degli episodi più curiosi fra quanti hanno costellato la vicenda della galleria: "Nel dicembre '75 - ricorda Gianni Martini - esponevamo uno dei rotoli di "pittura industriale" con cui Gallizio voleva smitizzare l'aura che circonda l'ispirazione dell'artista, imitando la serialità della produzione meccanica. Ebbene, un negoziante di tessuti lo prese in parola e mandò i vigili a controllare che avessimo la licenza per vendere stoffe".
Fra gli autori attivi nella seconda metà del '900, Gallizio non rappresenta un episodio isolato. Mentre la continuità con l'esplorazione del periodo fra le due guerre è data da mostre di Meret Oppenheim, musa del Surrealismo, di Franz Roh, teorico del "Realismo magico", e di Otto Hofmann, protagonista della recente rassegna a Palazzo Ducale, la galleria ha via via presentato artisti più prossimi a noi nel tempo: da Allan Kaprow, ideatore dell'happening, a Giuseppe Chiari, legato a Fluxus; dallo scultore Franco Garelli a Claudio Costa. "Un impegno che continua", commenta Martini. "Non a caso negli ultimi anni abbiamo proposto il lavoro di artisti nel pieno del fervore creativo, come Giuliano Galletta e Marc Didou, scultore francese che getta un ponte fra arte e scienza".
[Sandro Ricaldone, 1/7/2010]