MEDITERRANEO
Da Courbet a Matisse
Palazzo Ducale
dal 24 novembre 2010 all'1 maggio 2011
Un secolo e mezzo di pittura, l'epopea di un territorio, quello della costa meridionale francese, del suo paesaggio forte e armonioso, della sua luce così particolari. Cinque generazioni di artisti, fra loro diverse e talvolta discordi al loro interno, si succedono in quest'impresa, ripercorsa da Marco Goldin attraverso nella sequenza di ottanta quadri di cui si compone la mostra "Mediterraneo. Da Courbet a Monet a Matisse". Tra i due estremi del nitido ma compassato vedutismo settecentesco e della dissoluzione del soggetto nel colore si articola una vicenda che attraversa Naturalismo, Impressionismo e Fauvismo, trovando risonanze insolite nelle raffigurazioni marine e nelle scene agresti; entro lo spazio domestico del giardino e di fronte alla natura maestosa delle montagne.
Curiosamente ad attrarre l'attenzione su questa regione, e in specie sul tratto provenzale e la riviera che solo più tardi riceverà il nome di Costa Azzurra è la prossimità al nostro paese: "la costa del Mediterraneo da Antibes fino a Tolone, tutta la Provenza sulle rive della Durance, presenta siti tanto più pittoreschi in quanto adiacenti all'Italia", scriveva infatti Pierre-Henri de Valenciennes nel suo celebre manuale di prospettiva pratica e di ammaestramenti sulla pittura di paesaggio pubblicato nel 1800. Ma, tramontata la fortuna dell'antichità classica, sarà la vicinanza al confine francese a beneficiare il Ponente ligure del più importante evento pittorico dell'Ottocento, grazie al ciclo pittorico realizzato da Claude Monet a Bordighera tra il gennaio e l'aprile del 1884.
Nelle prime stanze dell'esposizione veniamo guidati, senza eccessivi fremiti, lungo le grandi, ariose vedute di Joseph Vernet (la descrittiva "Città e rada di Tolone", 1756; e l'immaginario "Paesaggio sulle rive del Mediterraneo", 1773), gli scorci del Mont Ventoux di Jean-Joseph-Xavier Bidauld e il profilo della Montagne Sainte-Victoire in prossimità di Aix-en-Provence, raffigurato da François-Marius Granet. Meno noti al pubblico italiano risultano gli autori della "Scuola di Marsiglia", Paul-Camille Guigou, Jean-Baptiste Olive ed Émile Loubon, la cui "Veduta di Marsiglia da Les Aygalades, un giorno di mercato" (1853) salda con efficacia - seppure in una dimen-sione schiettamente narrativa, rappresentando in primo piano una mandria sospinta dalle alture verso la città - il retroterra rurale e lo scenario urbano del capoluogo.
È con "Riva del mare a Palavas" (1854) di Gustave Courbet che inizia la sfilata dei capolavori: agli antipodi delle enormi tele che lo precedono, questo dipinto di formato circoscritto, attraverso la figura minuta del personaggio (forse l'autore stesso) ritta su uno scoglio dinanzi all'immensità del mare, sprigiona una vibrazione simbolica di rattenuta intensità.
Una digressione di marcato interesse è costituita dal confronto ravvicinato fra due quadri dal medesimo titolo "Rocce a l'Estaque" (1882) dipinti nello stesso giorno, da punti di vista diversi ma limitrofi, da Renoir e Cézanne: il primo avvolgendo le rocce di una luminosità dorata; il secondo esaltandone, nella nudità dei profili, la funzione costruttiva.
Al sommo, fra i lavori esposti, si collocano le quattro tele dipinte da Monet a Bordighera, fra cui la celebre "Veduta" dell'Hammer Collection di Los Angeles, dove i tetti della città alta paiono sospesi tra cielo e mare, e lo "Studio di Ulivi" che ritrae il tronco contorto di un albero tuttora esistente nel parco di Villa Mariani: sintesi perfetta di compiuta adesione al genius loci e di stupefacente estro cromatico, non pregiudicata neppure dal poco felice accostamento al pur pregevole "Angolo di giardino a Monaco" (1884) di Henri-Edmond Cross, dimensionalmente sproporzionato, ed al prosciugato "Cimitero in Provenza" (1883) di Frédéric Montenard.
Ogni opera, comunque, parla per sé. Così il vigoroso "Ulivi" (1889) di Van Gogh, dove il color ocra del terreno trasmuta nel violetto dei rami; la spigliata "Promenade des Anglais" di Edvard Munch (1891); il vivace mosaico di tasselli pittorici del "Saint-Tropez" (1896) di Signac. E ancora il sinuoso interno tratteggiato da Matisse nel "Quaderno nero" (1918) o l'incisiva deformazione impressa da Chaïm Soutine al "Paesaggio di Cagnes" (1923).
L'itinerario si arresta sugli esiti raggiunti da Pierre Bonnard in opere come "Giardino nel Var", (1914) e "Imbarcadero a Cannes" (1934) che segnano, nella visione del curatore, il tramonto del soggetto e l'affiorare - attraverso il filtro della memoria - delle "qualità più lievi della luce, dell'aria, del colore della natura".
Ma a suggello dell'esperienza compiuta dal visitatore l'ultima, raccolta sala propone un trittico di penetrante suggestione, che riprende al più alto livello i temi paesaggistici su cui la mostra s'impernia: il Mare, con "Cap d'Antibes, mistral" (1888) di Monet, dove il Mediterraneo s'increspa sullo sfondo delle Alpi innevate; il Campo, traboccante del giallo maturo del frumento, a lambire il profilo azzurro della città nel dipinto di Van Gogh "Arles vista dal campo di grano" (1888); la Montagna, scarnificata e scomposta da Cézanne in una delle raffigurazioni estreme del massiccio della Sainte-Victoire. Visioni della natura e dell'anima: "il sogno - scrive Goldin - del Mediterraneo".
[Sandro Ricaldone, 23/11/2010]