RICCARDA MONTENERO
Libre Circulation
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
dal 10 al 29 maggio 2011
« Savoir regarder une image, ce serait, en quelque sorte, se rendre capable de discerner là où elle brûle, là où son éventuelle beauté réserve la place d'un «signe secret», d'une crise non apaisée, d'un symptôme. Là où la cendre n'a pas refroidi. »
Georges Didi-Huberman
Esiste un luogo, sulla terra, dove i miasmi e le esalazioni rendono pericoloso e persino fatale il soggiorno, dove un uccello non oserebbe volare. Άορνοσ, l'Averno, dalla bocca - dice Virgilio - sempre aperta. È un descensus Averni, arduo, sofferto, quello che Riccarda Montenero compie nel suo tragitto dai "Migranti" (2005) a "Libre Circulation". Un calarsi verso il centro dell'orrore, varcando le stanze dei viaggi della disperazione, della macelleria bellica, della carcerazione e delle grida. Alle valige, alle coperte, alle sago-me contorte di lamiera che ancora serbano la misura mobile dei corpi (una folla di corpi legati al peso del limite), alle gabbie (barriere, trincee) di "Clandestini" di cui ancora si può immaginare la disgregazione, si sostituiscono i bersagliamenti, la mattanza della guerra, il perimetro opprimente della segreta.
Esiste un luogo - un altro - sulla terra, detto dalla sua forma il luogo del cranio, il Golgota, dove - secondo Origene - era la sepoltura di Adamo, dove si compie la via crucis del figlio dell'uomo. Il luogo del patimento, del grido estremo dell'inerme. E' il monte sul quale l'artista ascende, fra cumuli di teschi, sino alla vetta che incornicia il sacrificio di colui che non nuoce, dell'innocente.
A instradare su questi percorsi, opposti e simmetrici, costellati da eventi atroci, è la consapevolezza di un imperativo, che Judith Butler sintetizza nel compito di "trasformare la preoccupazione narcisistica della melanconia nell'attenzione verso la vulnerabilità altrui". La vulnerabilità ci riguarda, è ce qui nous regarde, perché fa parte del nostro essere. L'immagine di sofferenza che osserviamo corrisponde alla nostra natura. Ciò che vediamo davanti è, come ha scritto Georges Didi-Huberman, ciò che ci ri-guarda dentro. Ma l'imma-gine ci riguarda due volte: come vulnerabili, appunto (come perseguitati), e come (almeno potenziali, forse inconsapevoli) persecutori.
A dispetto del sotterraneo legame che può stabilirsi tra orrore ed erotismo, scandagliato da Georges Bataille ne "Les Larmes d'Eros" (sino ad affermare, di fronte agli atroci clichés fotografici del supplizio cinese dei Cento colpi, "la verità fondamentale data nell'erotismo religioso, l'identità dell'orrore e del religioso") è netta la presa di partito dell'artista, dalla parte degli oppressi. Non passivi tuttavia, non vinti, perché se "lo stato di vittima, di scheletrico morente, assimila l'uomo alla sua struttura animale", pure l'individuo è "qualcos'altro che una vittima, qualcos'altro che un essere-per-la morte, e dunque: qualcos'altro che un mortale" (Badiou).
Ma le immagini fotografiche predisposte da Riccarda Montenero per essere in seguito animate con l'impiego della grafica vettoriale non ci dicono la costrizione e l'orrore attraverso inquadrature colte sul campo, nell'istante in cui l'evento tragico o la catastrofe sopravviene. Sono costruite, meditate. Come tali, dietro di loro (dentro, accanto a loro), sussiste un deposito (i Leitfossilien, i "fossili-guida" di Aby Warburg, in cui si condensano i motivi di un'intera cultura), si dispiega una genealogia, un insieme di nessi che - lungi dal segnare una dipendenza - incorpora il sopravvivere delle immagini nell'immagine, rafforzandone l'incisività.
Così dietro, accanto alle distese di teschi de "La Mattanza", stanno le fosse di crani bagnati nell'ocra rossa del Mesolitico, la montagna di ossa ripulite da Marina Abramovic durante la Biennale di Venezia del 1997; affiorano - con impressionante somiglianza - i resti delle cinquantamila vittime tutsi del massacro di Ntarama del 1994 ordinati nella chiesa locale come luogo di memoria e, ancora, il "Bouncing Skull" adoperato come un pallone, in un angolo della periferia di Belgrado, nel video di Paolo Canevari entrato nella collezione del MoMA.
Così dietro (dentro, accanto) al volto urlante, rinserrato in un foglio di plastica trasparente che ne deforma le fattezze e minaccia il soffocamento, fissato dall'artista, troviamo il capo reclinato, la bocca contratta, le palpebre serrate della crocifissione di Matthias Grünewald conservata al museo di Colmar; lo sguardo vegetale de l'"Homme cactus" di Odilon Redon; l'"incidente" che Bacon provoca, distorcendo con la pittura l'istante immobilizzato nella fotografia per ricavarne "il momento di tutti i momenti".
E sempre accanto ai corridoi, alle celle, le Carceri piranesiane, i tunnels color fango di James Casebere, gli odiosi souvenirs di Abu Ghraib ...
Non valgono, queste esemplificazioni (alcune soltanto fra le molte possibili), che a dirci come Riccarda Montenero vada, in profondità, a toccare il cuore di tenebra della nostra epoca, raccogliendo la sollecitazione che Susan Sontag ci ri-volge in "Davanti al dolore degli altri": “Lasciamoci ossessionare dalle immagini più atroci. Anche se sono puramente simboliche e non possono in al-cun modo abbracciare gran parte della realtà cui si riferiscono, esse continuano ad assolvere una funzione vitale. Quelle immagini dicono: “Ecco ciò che gli esseri umani sono capaci di fare, ciò che (entusiasti e convinti d’essere nel giusto) possono prestarsi a fare. Non dimenticatelo”.
Ad bestiam, asphyxie, donne negate, gli invisibili, le refuge, vox sine verbo, sans papiers, noli me tangere … Corpi seminudi, piegati, scomposti, annientati. Sbarre. Mani avvinte sul dorso. Lenzuola pietrificate nelle crepe del pavimento. Nuvole cupe, bocche spalancate a risucchiare l’aria. Teste mostruose, avviluppate in bendaggi traslucidi. Reclusione, sfinimento. Attesa. Il grido. Paradosso raccapricciante della Libre Circulation: vagare nella notte, consumati dal fuoco ...
[Sandro Ricaldone, 19/3/2011]