GIULIANO GALLETTA
O DELL’INTERMINABILE RICICLAGGIO DEI RIFIUTI CULTURALI
testo per la mostra "Il museo del caos. Ambienti, oggetti, immagini, parole 1978-2010"
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
dal 16 ottobre al 14 novembre 2010
È solo per inconsapevole presunzione che non ci si vuole riconoscere onestamente come plagiari.
J. W. Goethe, Massima 1146
In una relazione ad un convegno tenuto all’Università di Firenze nel 2001 Edoardo Sanguineti afferma con risolutezza che “tutto è citazione”, anche la frase più concisa e banale.
L’orizzonte del discorso sanguinetiano si estende, come l’autore si cura di precisare, ben oltre l’ambito prettamente letterario. Citazioni sono tutti i codici comunicativi: il lessico, i segni, i gesti, i comportamenti. E proprio l’estensione universale è uno dei tratti più significativi di questa tesi, in uno con il suo porsi come punto di vista idoneo consentirci di leggere in una prospettiva diversa l’insieme delle creazioni culturali (intese nel senso ampio del termine).
“Se dico che il montaggio è tipico della modernità – argomenta in proposito Sanguineti – mi si può rispondere che è sempre esistito; ma questo è proprio quello che volevo dire, perché il montaggio non è altro che la messa in evidenza del fatto che tutto è citazione, nel senso che è combinazione di codici. […] Se io leggo Omero dopo che so che esiste il montaggio non è che cambi tutto, però ho una chiave che mi permette di comprenderne il funzionamento”.
Nell’ambito delle discipline letterarie e artistiche questa consapevolezza emerge con evidenza in alcuni fra i personaggi cardine del primo Novecento, da James Joyce, che – in una lettera a Georges Antheil – non esita a definirsi come “scissors and paste man”, a Walter Benjamin la cui aspirazione – secondo la testimonianza di Adorno - era di scrivere un’opera composta unicamente di citazioni, in parallelo con l’affermarsi di pratiche come il collage, l’assemblaggio e il ready-made da parte, rispettivamente, dei cubisti, dei futuristi e di un artista inclassificabile come Duchamp.
Altra manifestazione della vocazione citazionista del nostro tempo è il plagiarismo, anch’esso in fatto antico, ma ripreso con vigore nell’Ottocento da Lautréamont ed esplorato nella finzione narrativa da Jorge Luis Borges, attraverso le figure di Pierre Menard, scrittore simbolista impegnato a trascrivere letteralmente Don Chisciotte, e di César Paladión , altro autore immaginario scrittore il cui metodo consiste nella dilatazione di unità : “Prima e dopo il nostro Paladión, l’unità letteraria che gli autori accoglievano dall’eredità comu-ne era la parola, o tutt’al più la frase bell’e fatta. […] Paladión, si annesse, per così dire, un opus completo […], senza togliere né aggiungere una sola virgola”, pubblicando sotto il proprio nome Il mastino dei Baskerville, l’Emilio, l’Egmont, e la Capanna dello zio Tom.
Nel campo delle arti visive contemporanee, il plagiarismo è stato rivendicato dal movimento neoista (“La Cospirazione Culturale Neoista incoraggia il plagiarismo perché il plagiarismo fa risparmiare tempo e fatica, migliora i risultati e sviluppa l'iniziativa da parte del singolo plagiarista”, si legge nel First International Neoist Manifesto ) e ha trovato applicazione da parte di svariati artisti, fra cui Elaine Sturtevant, Sherrie Levine (ad es. con la serie fotografica After Walker Evans), a sua volta plagiata da Michael Mandiberg, Richard Prince (con la serie Cowboys, tratta da una campagna pubblicitaria della Marlboro), Mike Bidlo (che, fra l’altro riproduce nel 1981 il readymade warholiano Brillo Boxes) e in particolare con la geniale ripresa dechirichiana dei capolavori metafisici degli anni ’20 .
Ma, insieme alle suggestioni esercitate da Benjamin e Sanguineti, è un altro filone a presentare le affinità più pronunciate con il lavoro di Giuliano Galletta. Si tratta di un’elaborazione che prende anch’essa le mosse dal radicale affondo di Lautréamont e, costeggiando le sue propaggini surrealiste , prende definitivamente forma nell’incubazione del movimento situazionista. In quest’ambito che Guy Debord e Gil Wolman mettono a punto l’impiego del détournement : “occorre dun-que concepire uno stadio […] in cui l’accumulazione di elementi deviati (détournés), lungi dal voler suscitare l’indignazione od il riso riferendosi alla nozione di un’opera originale, ma al contrario marcando la nostra indifferenza per un originale svuotato di senso e dimenticato si sforza di rendere un certo tipo di sublime”.
Questa piattaforma si rivelerà d’importanza capitale per Debord, che non solo dà alle stampe, nel 1958, Mémoires, libro che fa riferimento all’âge d’or dell’Internationale Lettriste, dichiarando nel frontespizio che si tratta di un’opera “interamente composta di elementi prefabbricati” ma applicherà poi la stessa tecnica nel montaggio delle sequenze visive dei suoi film, e nella stesura della Societé du Spectacle dove si annidano – fra gli altri - citazioni e détournements da Marx, Hegel, Schopenhauer, Bernstein, Korsch, Freud e Melville.
In un tale scenario, Giuliano Galletta si muove, a partire dall’ultimo scorcio degli anni ’70, ancora segnato dalla stagione della Poesia Visiva, secondo una direttrice che potremmo definire dell’impossibilità. Impossibilità del diario, impossibilità dell’autobiografia, impossibilità del romanzo, affermata e negata (o meglio aggirata) attraverso una strategia laterale, nella quale la citazione ha, con il détournement, un ruolo preponderante. Lo attesta con chiarezza già l’opera prima, Tous jours, dove l’evento quotidiano scom-pare sostituito da ritagli d’immagini banali, estrapolate nel deposito di “oggetti e citazioni inservibili” , e il soggetto lascia trasparire la sua dubbiosa esistenza solo dietro le quinte, attraverso il gesto di appropriazione, ribadito da timbri, firme, impronte digitali.
Se il diario è per Galletta una sorta di specchio infranto i cui frammenti riflettono “uno sbalorditivo bric-à-brac di cascami paraculturali indifferenziati” in una dissimulata parodia del genere, l’almanacco - che l’autore propone a molti anni di distanza con un titolo tautologico, Almanacco di un altro anno - si dà, per antitesi, come un calendario in cui la freccia del tempo non riesce a valicare il passato, evocato in forma di autocitazione. Gli stessi excerpta da Barthes, Derrida, Baudrillard, che vi compaiono, subiscono grazie all’autografia dell’annotazione (od alla pecu-liarità del tracciato dattilografico) una sorta di inglobamento – in veste di maschera - nella nebu-losa dell’io presuntivamente protagonista. D’altronde si può azzardare che l’idea dell’autocitazione stia già alle spalle del ritratto (dandysticamente luttuoso e, in quanto ta-le, una volta ancora, parodico) dell’artista da giovane fissato nella sequenza fotografica Resti 1. Qui il soggetto “morto parecchie volte” secon-do Beckett o forse soltanto “deluso” nella sua fame di esistenza si trasforma in una sorta di film still intenzionalmente sfigurata con pesanti tratti di colore, prossima per più d’un verso a quegli objets trouvés che popolano installazioni come Mon coeur mis a nu, la cui ordinarietà è trasfigurata dal drammatico rivestimento di vernice rossa.
Un complemento di questo penchant è la produzione aforistica, che - già evidente in alcune delle poesie di Un impossibile giorno (“Un’opera / si può realizzare / in ogni / momento / basta / fermarsi”, per segnalare un esempio) - evolve nel tempo in una sorta di autocitazione, a un tempo, e in modo paradossale, consacrata e inedita, per concentrarsi da ultimo in semplici grafemi trascritti a mano su sacchetti di carta, in uno shopping di parole causticamente ironico.
A questa polarizzazione restrittiva fa tuttavia riscontro un’opposta tendenza che trova espressione nell’Archivio del caos , un insieme di raccoglitori in cui sono affastellati fogli, immagini, depliants pubblicitari, appunti ecc., che nel titolo ossimorico racchiude una metafora dell’“interminabile riciclaggio dei rifiuti cultu-rali”, vissuto però “come un effetto costante di choc, cioè col senso del frantumarsi di una continuità” , cui da sempre Giuliano Galletta attende.
Note:
1) Edoardo Sanguineti, Per una teoria della citazione, nel volume Il libro invisibile. Forme della citazione nel Novecento (Atti del Convegno di Studi. Firenze, 25-26 ottobre 2001), a cura di Adele Dei e Rita Guerricchio, Bulzoni, Roma 2008, pp. 11-22.
2) Ibidem, p. 22.
3) "I am quite content to go down to posterity as a scissors and paste man for that seems to me a harsh but not unjust description" [James Joyce a Georges Antheil, lettera del 3 gennaio 1931, in James Joyce, Letters, vol. I, ed. Stuart Gilbert, Viking Press, New York 1956, p. 290].
4) “L’aforisma dell’Einbahnstrasse secondo cui le citazioni dei suoi lavori sono come predoni appostati lungo la strada, che balzano fuori a spogliare il lettore delle sue convinzioni, egli lo concepiva alla lettera. A coronamento del suo antisoggettivismo, la sua opera fondamentale non avrebbe dovuto consistere che di citazioni”. [T. W. Adorno, Profilo di Walter Benjamin, in Prismi, Einaudi, Torino 1972, p. 245]. Hannah Arendt, dal canto suo, sottolinea che il “cumulo delle citazioni” non aveva lo scopo di facilitare la stesura, ma “rappresentava proprio il lavoro principale, di fronte al quale la stesura era di natura secondaria” [H. A., Walter Benjamin: L’omino gobbo e il pescatore di perle, in Il futuro alle spalle, a cura di Lea Ritter Santini, Il Mulino, Bologna 1981, p. 164].
5) V. Brandon Taylor, Collage – The Making of Modern Art, Thames & Hudson, London 2004.
6) Sul plagio in letteratura v. Jacques Finné, Des mystifications littéraires, Éditions José Corti, Paris 2010.
7) “Le plagiat est necessaire, le progrés l’implique” (Isidore Ducasse, Poèsies II, Librairie Gabrie, Paris 1870, p. 6).
8) Jorge Luis Borges, Pierre Menard autor del Quijote, “Sur”, mayo 1939.
9) Jorge Luis Borges - Adolfo Bioy Casares, Omaggio a César Paladión, in Cronache di Bustos Domecq (1967), Einaudi, Torino 1975, pp. 1-7. Una penetrante analisi dei meccanismi della citazione in Borges è proposta nel volume di Antoine Compagnon, La seconde main ou le travail de la citation, Éditions du Seuil, Paris 1979, pp. 361 e 373-380.
10) In proposito v. il saggio di Sherri Irvin, Appropriation and Authorship in Contemporary Art, pubblicato nel n. 45 del “British Journal of Aesthetic”, april 2005, p. 123-137.
11) Stewart Home, Neoist Manifestos, AK Press, Edimburgh 1991.
12) Nella sua prima mostra, tenuta alla Bianchini Gallery di New York nel 1965, la Sturtevant esponeva “plagi” di Andy Warhol (dalla serie Flowers, nata a sua volta dalla ripresa di un’immagine fotografica di Patricia Caulfield e oggetto di una disputa giudiziaria), di Jasper Johns, Claes Oldenburg, George Segal, Robert Rauschenberg, Frank Stella e James Rosenquist. (v. Bruce Hainley, Erase and Rewind. Elaine Sturtevant, in “Frieze”, n. 53, june-august 2000).
13) La serie è stata esposta nella mostra Sherrie Levine After Walker Evans allestita presso la Metro Picture Gallery di New York nel 1981.
14) V. il sito AfterSherrieLevine.com, inserito in rete dall’artista.
15) L’artista ha realizzato questo ciclo di opere, preceduto da altre prove di appropriation art, fra il 1980 ed il 1992.
16) V. Giorgio De Chirico, la fabrique des rêves, catalogo della mostra al Grand Palais, 13/2-24/5/2009, Éditions Paris Musées, Paris 2009.
17) “Malgrado l’evidenza del procedimento applicato nelle Poésies, sulla base in particolare della morale di Pascal e di Vauvenargues, al linguaggio teorico, nel quale Lautréamont vuol far approdare i ragionamenti, per concentrazioni successive, alla sola massima , ci si è stupiti, tre o quattro anni fa’, delle rivela-zioni di un tal Viroux che impedivano ormai anche ai più limitati di evitare di riconoscere nei Chants de Maldoror di un ampio détournement, fra gli altri, di Buffon e di opere di storia naturale” (Guy-Ernest Debord - Gil J. Wolman, Mode d'emploi du détournement, in Les Lèvres nues, n. 8, mai 1956). Una breve analisi dei procedimenti di Lautréamont è contenuta nel saggio di Maria Teresa Biason, L’aforistica francese a partire da La Rochefoucauld, nel volume collettaneo Teoria e storia dell’aforisma, Bruno Mondadori, Milano 2004, pp. 58-59.
18) Si può fare riferimento, oltre che ai noti “romanzi visivi” di Max Ernst (da Répetitions, 1922, realizzato in collaborazione con Paul Eluard, a Une semaine de bonté, 1934), agli aforismi di Picabia pubblicati su “Litterature” nel settembre 1922 e su 391 nel giugno 1924 e ad opere quali 152 proverbes mis au goût du jour, 1925, di Eluard e Benjamin Peret, o ai volumi di Georges Sadoul (Portes, 1925/26) e di Georges Hugnet (La septième face du dé, 1936) che preannunciano la poesia visiva. Particolare attenzione all’aforisma hanno dedicato surrealisti belgi come Louis Scutenaire (Mes inscriptions, 1945) e Achille Chavée (L’enseignement libre, 1958). Sull’aforistica dada e surrealista v. Marie-Paule Berranger, Dépaysement de l'a-phorisme, José Corti, Paris 1988. José Corti.
19) Guy-Ernest Debord - Gil J. Wolman, Mode d'emploi du détournement, op. cit..
20) Guy Debord, Mémoires, structures portantes de Asger Jorn, Internationale Situationniste, Copenhagen 1959. In un esemplare appartenuto all’autore sono indicate le fonti delle citazioni detournées e si precisa che l’opera è stata compo-sta nell’inverno 1957-58 e stampata a Copenhagen nell’autunno 1958, a dispetto dell’indicazione 1959 riportata nel volume. “Tutti i libri e i giornali utilizzati sono apparsi al più tardi nel 1957 e generalmente prima”.
21) Va ricordato, in proposito, il precedente del film di Isidore Isou, Traité de bave et d’eternité (1951), che impiega sequenze di immagini di riporto e con la dissociazione fra banda visiva e banda sonora (montaggio discrepante) introduce una specifica forma di détournement.
22) Guy Debord, La Societé du Spectacle, op. cit.. Un prospetto delle citazioni ivi incluse è riprodotto nella brochure Relevé des citations ou detournements de "La Societé du Spectacle", Editions Farandola, Paris 2002.
23) Si può pensare che l’attività professionale di Giuliano Galletta come giornalista e intervistatore letterario si giovi della sua propensione nei riguardi della citazione. Ne fanno fede sia i volumi tratti dalle sue rubriche apparse su “Il Secolo XIX” (Sabrina o della felicità, Il Melangolo, Genova 2006; Il mondo non è una pesca, Socialmente, Bologna 2010) sia il volume dedicato ai colloqui con Edoardo Sanguineti (Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del XX secolo, Il Melangolo, Genova 2005).
24) Giuliano Galletta, Tous jours, Libreria Sileno Editrice, Genova 1978.
25) V. Giuseppe Zuccarino, In margine a Tous jours, in “Ghen Liguria”, n. 5, giugno 1985.
26) Ibidem.
27) Giuliano Galletta, Almanacco di un altro anno, Antilibro, Genova 2004. Il termine deriva dal siriaco I-manhai, che significa “l’anno prossimo”, ciò che appunto rende il titolo tautologico.
28) Significativa al riguardo è la citazione da Philippe Lacoue-Labarthe, “L’autografia […] è un romanzo”, riportata in G. G., Almanacco di un altro anno, op. cit., p. 39.
29) La sequenza è pubblicata come inserto nel n. 1 della rivista Stato inferto, Libreria Sileno Editrice, Genova, febbraio 1981.
30) La citazione beckettiana è riportata in Giuliano Galletta, La camera melodrammatica, catalogo della mostra, Galleria Martini & Ronchetti, Genova 14 ottobre – 14 novembre 2007, p. 22.
31) Giuliano Galletta, Mon coeur mis a nu, ambientazione, Galleria Arteverso, Genova 1981. (v. immagine riprodotta in G. G., Almanacco di un altro anno, op. cit., p. 46).
32) Giuliano Galletta, Un impossibile giorno, Opuscola n. 20, Libreria Sileno Editrice, 1990. Giuseppe Zuccarino nella nota di postfazione apparenta queste poesie agli incidents barthesiani: “mini-testi, pieghe, haiku, notazioni, giochi di senso, tutto ciò che cade, come una foglia”.
33) Opera esposta nella mostra Giuliano Galletta a Casa Jorn, Albissola Marina, 22 aprile – 15 maggio 2007.
34) Lavoro in progress, parzialmente esposto per la prima volta nella mostra citata nella nota precedente.
35) V. Edoardo Sanguineti, op. cit, p. 22.
[Sandro Ricaldone, 30/8/2010]