PINO RANDO: LA NAVE DEI GIGANTI
MuMa Museo del Mare - Genova
dall'11 novembre all'11 dicembre 2011
Chi sono i Giganti che eretti prendono il mare sul fragile, rutilante vascello armato da Pino Rando? Sono i temerari che osarono sfidare gli dei muovendo alla conquista del cielo e - fulminati da Zeus, saettati da Eracle, sepolti sotto montagne abbattute – con il loro sangue versato sulla terra diedero origine, come narra Ovidio, alla razza degli uomini? Quegli esseri la cui forza tellurica alimenta vulcani e terremoti?
Si direbbero scomparsi questi mostri, insieme agli avatar rinascimentali che si affollavano nei poemi cavallereschi. Già per Giovanni Cassanione , autore nel 1580 di un De Gigantibus eorumque reliquiis, l’attestazione della loro passata esistenza stava nei reperti archeologici e Vico nella Scienza nuova ne certificava l’estinzione, affermando ch’essi “degradarono alle nostre giuste stature” per via della “polizia dei corpi” e del “timore degli dei e dei padri”.
Non hanno d’altronde, i nostri naviganti, le proporzioni imponenti, le muscolature contratte, le terribili sembianze che Giulio Romano ha istoriato in Palazzo Te.
Stanno ritti su arti sottili, allungati come nelle figure scarnite di Giacometti. Non hanno volti né mani: non sguardi, né voce o gesti. Sono immobili e pure in movimento, attraverso un mare che è il tempo, in un viaggio in cui tutti noi siamo imbarcati.
Nella loro scheletrica essenzialità sembrano precedere e seguire la storia umana. Ci riportano per un verso all’antica stele di Lerici, restaurata dall’artista, o – più indietro ancora, dilatandone esponenzialmente la misura – alle minuscole Veneri del Paleolitico superiore rinvenute nelle grotte dei Balzi Rossi, dove Rando ha installato, nella scorsa primavera, un gruppo dei suoi nuovi lavori.
Ma, per altri aspetti, queste sculture realizzate con materiali impropri o addirittura di riporto sembrano accennare ad una condizione post-umana, di androidi in fase evolutiva, che attendono di conquistare, in un mondo a venire, la propria definitiva configurazione.
Questa doppia natura dei Giganti - nella quale il dato ancestrale, legato al genius loci, come si avverte con limpidezza nell’ambientazione creata nel settembre 2010 all’interno dell’area archeologica di Varignano, si proietta verso il futuro e il soggetto si palesa in transizione - ha radici profonde nell’opera antecedente dell’artista.
Se ne scoprono tracce già nei dipinti degli anni ’60 dove campeggiavano volti “presi quale unità rigidamente definita … maschere acefale, strutture nella struttura” (D. Camera, 1969), espressione di una condizione sospesa fra archetipo e clonazione. Mentre nei “cablaggi” degli anni ’90, solcati da elementi filiformi, si manifesta un’attenzione profonda per l’evolvere della tecnologia e della comunicazione, interesse che si riverbera in una percezione peculiare del primordiale, da cui – a titolo d’esempio – l’autore è indotto a rapportarsi alle citate “venerine” preistoriche leggendole come ciottoli-chips, “carichi di informazioni trasmesse nel linguaggio ancora chiaramente comprensibile dell’immaginazione”.
Nel cammino verso la messa in opera dei Giganti risulta poi capitale la ricerca condotta da Rando a partire dall’esperienza di restauro sui dolia, i grandi contenitori in terracotta recuperati dal relitto della nave romana affondata nelle acque di Diano Marina. L’indagine sulle antiche riparazioni, eseguite mediante grappe in piombo colate lungo le fessure e fissate da terminali a coda di rondine, ha infatti aperto la via alla produzione di sculture in ceramica realizzate saldando le diverse componenti con l’antica tecnica, filologicamente ripercorsa, la cui funzione strutturale viene però valorizzata dall’artista in chiave espressiva: “i tracciati spezzati” del metallo “sono (qui) recuperati come fatti grafici a sé stanti, quasi frammenti di un perduto alfabeto (…) e caricati per sé stessi di risonanze arcaiche” (F. Sborgi, 1993).
Non solo si può cogliere nei Frammenti dell’ultimo decennio l’avvincente intreccio di forme assolutamente moderne e di echi remoti, ma vi si intuisce il delinearsi - nell’ossatura di alcuni di essi, come i Personaggi del 1992 o la sequenza dei Carapaci del 2000 - l’assetto strutturale dei Giganti.
Vi si riscontra – infatti - sia la presenza di un impianto costruito in verticale, elevato su sostegni di foggia lineare, sia il sintetico abbozzo del torso che li sovrasta.
Nei Giganti le aste di sostegno acquisiscono un’estensione inusitata, conferendo ai singoli elementi una modalità spaziale incentrata sul vuoto, stabilizzata al culmine da una corporeità leggera, consolidata dalla pienezza del rivestimento cromatico.
Si raggiunge in tal modo, nel gruppo al cuore della rassegna in atto, una sorta di non-fisica materialità, di spersonalizzata individuazione che ci riporta ad un’espressione di Kleist: “così anche la grazia, dopo che la conoscenza, per così dire, ha traversato l’infinito, si ritrova, in tutta la sua purezza, in quel corpo dalle sembianze umane che non ha nessuna o un’infinita coscienza”.
[Sandro Ricaldone, 28/09/2011]