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30 aprile - 30 giugno 2012



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Accademia Ligustica in crisi

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VITA DI GIORGIO LABÒ


“Eravamo alla stessa scuola, la Giano Grillo, alle elementari, ma in classi diverse, lui era con mio cugino, Paolo Levi, e Luciano Codignola. Mi ricordo che Giorgio era tremendo. Lo mandavano sempre fuori della porta”. Così Lele Luzzati ricorda Giorgio Labò da ragazzo, un “enfant terrible”, precoce e caparbio rampollo di una famiglia di intellettuali che solo un professore d’eccezione, Camillo Sbarbaro, riuscì – con ingegnosi espedienti didattici – ad accostare al latino “aureo” ed agli autori classici, da Omero a Dante. Se, da principio, “delle materie di studio non ce n’era una che non aborrisse”, più tardi, doppiati gli insidiosi scogli della sintassi, fu lui a stupire il maestro partendo “lancia in resta contro un critico ostile alla pittura di De Chirico” e manifestando addirittura l’urgenza di controbatterlo su un giornale. Questo fermento, già maturo in età adolescente, era frutto, oltre che del rapporto confidenziale che lo legava al poeta di Pianissimo, di un ambiente familiare ricco di stimoli: il padre Mario, architetto, formatosi in un ambito di cultura liberty, promotore di iniziative imprenditoriali nel campo delle arti applicate che lo mettono in rapporto con artisti della caratura di Arturo Martini, diverrà uno degli alfieri del Razionalismo; la madre Enrica Morpurgo, donna di spiccati interessi letterari e filosofici, curerà la traduzione di testi chiave di architettura, mentre la zia materna Lucia, moglie del pittore Paolo Rodocanachi, animerà a lungo, nella sua casa di Arenzano un cenacolo letterario frequentato da Sbarbaro, Bo, Gadda e da Eugenio Montale, e coadiuverà quest’ultimo – come anche Vittorini – nella trasposizione in lingua italiana di autori inglesi e americani.
Non stupisce perciò più di tanto il fatto che, iscrittosi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, il giovane Labò sia entrato con tutta naturalezza in rapporto con gli ambienti artistici e letterari del capoluogo lombardo, partecipando in veste di critico d’arte all’avventura di Corrente, cui erano legati pittori come Birolli e Guttuso, poeti come Vittorio Sereni e filosofi come Banfi e collaborando con diverse voci al Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature.
E’ mentre coltiva queste passioni, leggendo avidamente e indagando l’arte di Afro e Mirko Basaldella, attivando contatti con architetti come Pagano e Sartoris, che - divampato il secondo conflitto mondiale - viene chiamato alle armi nel Genio minatori. Lontano dalle prime linee, sottoposto a continui trasferimenti tra Firenze, Novi Ligure e Poggio Mirteto, nella una monotona vita di guarnigione Labò continua dapprima a perseguire le sue ricerche, progettando monografie sull’architetto finlandese Alvar Aalto e sul futurista Antonio Sant’Elia, caduto nel 1916, verso il quale lo attrae “un rapporto di somiglianza umana, fra generazioni che hanno vissuto l’ansia di una eguale attesa”.
Ma caduto il regime fascista nel luglio 1943, e ancor più dopo l’8 settembre diviene consapevole della necessità di un’azione contro l’occupazione nazista e si lega con il Gruppo di Azione Patriottica romano guidato da Antonello Trombadori, dove mette a frutto l’esperienza acquisita nel Genio creando con il chimico Gianfranco Mattei ordigni esplosivi utilizzati in diverse azioni di sabotaggio. Tradito, viene catturato e tradotto nel carcere delle SS in via Tasso, dove Mattei, temendo di cedere alle torture, si dà la morte. Sottoposto a brutali interrogatori Labò non parla. Recita la motivazione con cui gli venne in seguito conferita la medaglia d’oro al valor militare: “Legato mani e piedi ininterrottamente da strettissimi vincoli che fecero in breve tempo incancrenire i suoi polsi, con le ossa fracassate ed il volto disfatto dalle percosse, ad ogni intimazione dei carnefici rispondeva: Non lo so e non lo dico. Viva l’Italia!”. Cade fucilato per rappresaglia, con nove compagni, il 7 marzo 1944 a Forte Bravetta.
Piero Boragina racconta nel suo libro la breve vita di Giorgio Labò attraverso documenti epistolari e fotografici, brani di diario (fra i quali quello straziante del padre che si reca a cercarne la salma), articoli e rievocazioni di amici, componendo un mosaico che restituisce vividamente il percorso di questo giovane eroe dall’infanzia alla sua ora estrema. E nel suo argomentare mette in luce con tutta chiarezza come l’impegno culturale e la partecipazione al movimento di Resistenza avessero la stessa radice; come, nelle parole di Giulio Carlo Argan, “Giorgio sia diventato un militante comunista sui testi della poesia e della pittura moderne”.

Giuliano Galletta