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novembre 2012 - novembre 2013



Mostre e Recensioni



-  Beppe Dellepiane:
    Ombra e sogno
    sono il peso della luce


-  Gianni Brunetti:
    Figure - Sequenze


-  Giuliano Galletta
    Non voglio essere
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    Paesaggi di Liguria


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    Un catalogo di cose perdute
    per un mondo possibile


-  Il Deposito 1963-2013
    L'avanguardia in riva al mare


-   Il lavoro dell'artista:
    Un percorso genovese


-   Michele Allegretti:
    Nebula


-   La visione fluttuante #2

-   Espoarte: intervista su
    La visione fluttuante #2


-  Gruppo 63
    Tessere per un mosaico


-  Rileggere il Marcatré

-  Piero Simondo:
    i monotipi 1954-1958



Ricordi



-  Gian Lupo Osti

-  Omaggio ad Aurelio Caminati

-  Franco Sborgi



 

ESPOARTE: INTERVISTA SU LA VISIONE FLUTTUANTE #2


(Caterina Gualco e Sandro Ricaldone rispondono alle domande di Francesca Di Giorgio)



Palermo, Torino, Roma, Bologna, Perugia, Genova e Los Angeles… Questo autunno, in Italia e all’estero, si guarda al Gruppo 63. Convegni internazionali, incontri, mostre e performance rendono omaggio alla neoavanguardia di «[…] un movimento spontaneo suscitato da una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie […] (Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani)».
Poeti, scrittori, critici, studiosi, artisti, musicisti, sperimentando nuove forme di espressione, volevano rompere con gli schemi tradizionali. Oggi a cinquant’anni dalla nascita del Gruppo battezzato a Palermo, nell’anno che gli ha dato anche il nome, si torna a riflettere su quelle esperienze artistiche, e sui suoi protagonisti, che hanno lasciato un segno visibile tra i contemporanei.
Abbiamo chiesto a Caterina Gualco della galleria UnimediaModern e al curatore Sandro Ricaldone di raccontarci La visione fluttuante #2. Ricerche verbo-visuali in Italia ‘60/’70, una mostra nata a Genova in questo contesto e che rappresenta un’occasione per rileggere una “stagione dell’arte”…

La visione fluttuante #2. Ricerche verbo-visuali in Italia ‘60/’70, in corso da UnimediaModern, è una delle manifestazioni con cui Genova ha reso omaggio ai 50 anni del Gruppo 63. Perché riproporre titolo, impostazione e comunicazione della mostra inaugurata il 29 aprile del 1975 a cura di Edoardo Sanguineti?
Prima di tutto per un omaggio, diremmo doveroso, a due personalità – Sanguineti, appunto, e Martino Oberto, al quale si deve ricondurre in concreto la scelta delle opere esposte nel 1975 – che hanno segnato, seppure in modo diverso, nei rispettivi campi d’azione, l’esperienza culturale, non solo italiana, della seconda metà del Novecento. In secondo luogo per verificare se, e quanto, le ipotesi sottese alla mostra del 1975 abbiano tenuto alla distanza. L’impressione è che mentre la tesi di Sanguineti poteva apparire all’epoca fortemente riduttiva di fronte all’esplosione ancora in atto della Scrittura Visuale, nel tempo la situazione abbia registrato un abbassamento di frequenza, contestuale ad una più ampia diffusione dell’elemento scrittura nell’ambito delle arti visive. Infatti, mentre i lavori di quegli anni conservano intatto il loro fascino, nel presente la specificità del loro impatto di allora sembra essersi stemperata nelle nuove generazioni in una connotazione concettuale estremamente variegata che trascende ogni barriera di tendenza.

Com’era e com’è strutturata la mostra allestita negli spazi di UnimediaModern?
La mostra del 1975 si inscriveva in una stagione (quella 1974/75) in cui la Galleria Unimedia aveva presentato, sotto il titolo “Nuove Relazioni – Riferimenti e ipotesi per una lettura della ricerca negli anni settanta”, una serie di mostre a tema con la volontà di documentare “… una rilevazione non unidimensionale ma correlata ai diversi e spesso opposti punti di crescita del linguaggio contemporaneo.” (C. G. 1974). La collaborazione con Martino Oberto ed Edoardo Sanguineti aveva avuto una valenza eccezionale. La mostra attuale riprende esattamente lo schema della prima versione, stessa scheda, stesso testo, stessi artisti, con, in più, il testo di Sandro Ricaldone. Della prima edizione sono state rintracciate alcune opere, mentre le altre sono diverse ma dello stesso periodo.

Il parametro geografico di appartenenza degli artisti coinvolti è un punto di riferimento all’interno del progetto. Chi sono i protagonisti e da dove vengono? Che “ruolo” ha giocato Genova nello sviluppo del movimento?
Ci sembra che non sia tanto il parametro puramente geografico ad avere rilievo, quanto le aggregazioni attorno a riviste o a centri espositivi, indubbiamente favorite – in un momento in cui informazione e comunicazione non disponevano di strumenti comparabili con quelli attuali – dalla prossimità e dalle connesse occasioni di frequentazione reciproca. Ciò che forse appare più significativo è la diramazione delle ricerche nel territorio nazionale e la loro insorgenza in centri di antica tradizione culturale, che a torto vengono considerati periferici. Genova, come Firenze e Napoli, come pure una più articolata area emiliana, ha giocato un ruolo di primo piano nell’affermazione della Scrittura Visuale, con il gruppo raccolto intorno agli Oberto ed alla rivista Ana eccetera, con Tool animato da Carrega, precocemente trapiantato a Milano, e con il Gruppo di Studio di Ziveri e Tola, dal quale, sotto la direzione di Eugenio Battisti, ha preso avvio l’esperienza de Il Marcatrè.

Il testo che Sandro Ricaldone ha scritto per la mostra si pone in collegamento con quello che Sanguineti aveva scritto nel ’75. Come può essere riletto a distanza di trent’anni e alla luce di esperienze artistiche successive?
Come è noto Sanguineti riteneva limitativo il legame fra parola e immagine, di fronte alla pluridimensionalità della materia verbale, in un ventaglio esteso dalla dimensione semantica a quella sonora; da quella visiva a quella performativa o teatrale, per citarne alcune. Era quindi contrario alla connotazione settoriale del campo d’indagine proprio della Scrittura Visuale e forse più ancora della Poesia Visiva, esemplificata nelle prove di autori fiorentini come Miccini o Pignotti, cui imputava un tratto oggettuale marcatamente vincolante (utilizzando, non a caso, nella sua analisi di allora il termine “rebus” nel suo significato letterale). Oggi la dimensione verbale e/o scrittoria sembra, come già ho accennato, essersi definitivamente emancipata dalle sue origini poetiche ed aver conquistato uno spazio stabile nell’ambito di un’arte che solo per abitudine si continua a definire semplicemente “visiva”.

Nel recente palinsesto delle mostre italiane si rileva una volontà di recuperare esperienze dagli anni ’60 e ’70 (penso alla mostra When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013, un progetto di Szeemann riproposto da Celant alla Fondazione Prada di Venezia) così come in eventi fieristici sono nate sezioni dedicate ad artisti che hanno avuto un ruolo importante nella storia dell’arte o il cui lavoro ha influenzato le pratiche artistiche contemporanee ma che non sempre hanno ricevuto la visibilità meritata (vedi Back to the future ad Artissima Torino). Come valutate queste operazioni alla luce anche del vostro progetto?
L’operazione condotta con La visione fluttuante #2 non aveva intenti di ricostruzione filologica né di revival più o meno celebrativo. Senza dubbio la riflessione su episodi e ricerche artistiche di un passato relativamente recente rispecchia un’esigenza di approfondimento di esperienze esemplari, come appunto When Attitudes Become Form, tuttora attive, in termini di sotterranea influenza o come ideale pietra di paragone, nel momento presente. Un discorso analogo può valere, con le debite proporzioni, per La visione fluttuante #2 e per le riletture di autori significativi del secondo Novecento condotta attraverso rassegne quali Back to the Future di Artissima. Il rischio che si può correre in casi del genere è di non mantenere una adeguata distanza critica e distorcere con il senno di poi l’evento originario o di fagocitarlo in una cornice mediatica sproporzionata.

Quali sono i prossimi appuntamenti in programma in galleria?
Venerdì 15 novembre presenteremo, durante il finissage della mostra, la performance Milritonnades, composizione di Massimo Pastorelli, Massimo Pastorelli voce, Fabio De Rosa flauto. Il 27 novembre di sarà l’inaugurazione della mostra No More Pink di Ben Patterson; anche in questo caso è previsto un finissage “a sorpresa”, di cui daremo comunicazione. A metà dicembre, data non ancora fissata, ci sarà la presentazione della rivista BAU, e un brindisi per l’anno nuovo. Il 7 febbraio avremo la mostra di Pavel Schmidt, con la presentazione del suo libro Genova. Tanto basti per il momento e che la vita ci assista