tr@ct 31

novembre 2012 - novembre 2013



Mostre e Recensioni



-  Beppe Dellepiane:
    Ombra e sogno
    sono il peso della luce


-  Gianni Brunetti:
    Figure - Sequenze


-  Giuliano Galletta
    Non voglio essere
    me stesso


-  Marina Carboni:
    Paesaggi di Liguria


-  Lorenzo Penco:
    Un catalogo di cose perdute
    per un mondo possibile


-  Il Deposito 1963-2013
    L'avanguardia in riva al mare


-   Il lavoro dell'artista:
    Un percorso genovese


-   Michele Allegretti:
    Nebula


-   La visione fluttuante #2

-   Espoarte: intervista su
    La visione fluttuante #2


-  Gruppo 63
    Tessere per un mosaico


-  Rileggere il Marcatré

-  Piero Simondo:
    i monotipi 1954-1958



Ricordi



-  Gian Lupo Osti

-  Omaggio ad Aurelio Caminati

-  Franco Sborgi



 

LORENZO PENCO


UN CATALOGO DI COSE PERDUTE PER UN MONDO POSSIBILE
(Un té nel deserto - aprile 2013)



Nel corso del XX (ma anche del XXI) secolo, il segno alfabetico, nel duplice versante tipografico e di scrittura manuale, ha rappresentato uno degli aspetti su cui più a lungo si è esercitata la ricerca delle avanguardie, storiche e nuove. Fra le parole in libertà futuriste e l’ipergrafia lettrista; fra le “scritture illeggibili di popoli sconosciuti” di Munari e le grafie di s/pensiero di Martino Oberto si disegna un percorso che trova nelle coeve écritures en delire dei folli o nei graffiti tracciati sui muri diramazioni non secondarie di ordine mentale, oltre che sociale e politico.
È in un simile contesto che viene a situarsi la ricerca di Lorenzo Penco: una ricerca che - attorno al tema centrale della lettera, come schema visivo non meno che come deposito storico e simbolico – ha affrontato problematiche diverse, indagando dapprima la consistenza della materia, cesellando i singoli caratteri nel cemento, per saggiare poi la resa della dimensione monumentale con una sequenza di totem in legno. Dopo un momento di frenesia combinatoria, caratterizzato dall’accumulo di segni affondati in campiture di violento cromatismo, una fase riflessiva, di riduzione al bianco e nero, al puro segno scritturale, gli ha aperto l’accesso ad una nuova sintesi, nella quale le esperienze precedenti trovano un loro ideale equilibrio.
Ma c’è di più: in parallelo con l’indagine formale (o probabilmente anche grazie ad essa) l’artista è approdato, à rebours, all’origine remota del proprio legame con il segno alfabetico, riscoprendo nei quaderni d’infanzia le sequenze di lettere tracciate, senza ordine né significato, a costellarne le pagine.
“I segni, le lettere, i frammenti, i campioni di materiali, organizzati, formano un universo” annotava Gastone Novelli in un testo (Pittura procedente da segni) pubblicato su Grammatica nel 1964. “Ogni universo – prosegue l’artista – è un possibile linguaggio e qui intendo “linguaggio magico” e non “linguaggio accademico” … il linguaggio magico elabora un sistema strutturato utilizzando residui e frammenti, ‘testimoni fossili della storia di un individuo o della società’ in modo del tutto astorico”.
È un simile universo, squisitamente individuale e però intellegibile a ciascuno, che Lorenzo Penco ricompone negli ultimi lavori, dove l’attenuata ma densa materia pittorica cela e disvela, mostra e cancella, ad un tempo, i frammenti delle sue scritture infantili, componendo – come ancora, in altra sede, ha scritto Novelli – quel “catalogo di cose perdute” di cui “ognuno ritrova un pezzo e lo appiccica al muro, costruendo un mondo che forse è possibile”.

Sandro Ricaldone