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marzo 2014 - agosto 2014



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AGOSTINO BOLDRINI


SO LONG, AND THANKS FOR ALL THE FISH
(Genova, Oratorio dell'Immacolata - aprile 2014)



Nel quattordicesimo capitolo di Ventimila leghe sotto i mari, Jules Verne dischiude agli occhi del Professor Aronnax del Museo di storia naturale di Parigi, del suo assistente Conseil e del fiociniere Ned Land - attraverso gli oblò di cristallo del Nautilus - lo scenario, tanto realistico nel racconto quanto immaginario nella concezione, del mondo sottomarino. Insieme ai tre naufraghi tratti a salvamento dal misterioso Capitano Nemo ci troviamo a seguire, affascinati, le evoluzioni di una fauna ittica stupefacente per la vivacità dei movimenti e la bellezza delle forme, “spettacolo indescrivibile” secondo lo stesso autore, presumibilmente ispirato dai grandi acquari (l’Aquarium au poisson de mer e l’Aquarium au poisson d’eau douce) allestiti nel 1867 a Parigi, al Champ de Mars, per l’Esposizione universale del 1867 e da quello approntato l’anno successivo a Le Havre nell’ambito dell’Exposition maritime internationale, solo un paio d’anni prima della pubblicazione del romanzo.
Oggi, quando lo choc della rivelazione della parte sommersa del globo si è stemperata in un avvincente intrattenimento per famiglie, Agostino Boldrini espone, fra gli stalli dell’Oratorio dell’Immacolata già annesso al distrutto Convento di San Francesco, una sorta di acquario pittorico che in qualche modo, seppure non volutamente, richiama alla mente l’affresco della Cappella delle benedizioni nella Basilica di Sant’Antonio a Padova, nel quale il titolare, offeso dalla poca fede dei cristiani, è rappresentato nell’atto di predicare ai pesci.
L’attenzione di Boldrini non si concentra su uno spunto narrativo, come quello cui si accennava, trattato fra gli altri dal Veronese e da Luca Giordano, né su un’ottica di genere, sul tipo della natura morta coltivata da diversi autori fiamminghi. E neppure sul retaggio simbolico, religioso o alchemico, che nella figura del pesce è depositato. Né, infine, sullo splendore cromatico che incantò Klee nella Stazione zoologica Dohrn, di Napoli, dal quale hanno tratto origine, nel 1925, Pesce magico e Pesce dorato.
L’aspetto che sembra catturare l’interesse dell’artista ha piuttosto a che fare con la natura enigmatica del soggetto. Alla sua presenza impassibile che propone un’alterità estrema, che la densità della stesura pittorica e l’opacità degli sfondi tendono a sottolineare. Sono gli occhi a dominare, con la loro vitrea inespressività, l’atmosfera dei dipinti, mettendo a fuoco uno sguardo alieno puntato sugli spettatori, in un rovesciamento virtuale della consueta relazione visiva. I pesci ci guardano, mentre contempliamo i loro musi (o meglio, i loro volti) grigi e bianchi, magistralmente solcati da striature d’un giallo acceso o contornati di tratti rossastri. Ci osservano con indifferenza, al riparo delle loro lucenti corazze di squame che conservano appena una traccia dell’originaria agilità nella posa incurvata o in un sottile baluginio di colore. Ci scrutano perplessi, con la bocca spalancata, quasi in un moto di stupore di fronte ad una presenza importuna. Senza trascurare di trasmetterci una blanda sensazione di pericolo, esibendo rostri che sembrano prolungarsi oltre il margine del quadro.
Sorge allora il sospetto di trovarsi nel mezzo di una “campagna per il salvataggio degli umani”, del tipo di quella promossa dai delfini nel quarto libro della Guida galattica per autostoppisti. Gestita questa volta dai pesci, che con l’innalzamento del livello dei mari si apprestano ad assumere il dominio del pianeta in cui precariamente viviamo.

Sandro Ricaldone