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settembre 2014 - ottobre 2015



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GER LATASTER


(Galleria Peccolo, Livorno, 20/12/2014 - 20/1/2015)

long violent strokes of pure paint
shape conflicting forms
black red blue yellow
struggling
over the large canvasses

the movement of the arm
translates strong feelings
with abstract script
into feverish tokens
creating a message
(1)

Willem Sandberg

“In fatto si torna sempre alle stesse cose: le accentuazioni sono variate via via che dipingevo i miei quadri. Quella che un tempo era una macchia gialla ora è, forse, una nuvola gialla, oppure una mano gialla. Vi ponete altre domande, quando osservate le cose in maniera differente, e questo richiede una riclassificazione dei vostri mezzi. Cercate di rendere le cose sempre più complesse”. In questa riflessione Ger Lataster compendia lo svolgersi del suo percorso nella pittura, dagli anni del secondo dopoguerra alla fase estrema della sua vita, sotto il segno di un continuo, misurato rinnovamento degli esiti formali nel quadro di una fondamentale continuità d’ispirazione. Le cose rimangono le stesse, la percezione muta: “Quando dipingo un Icaro nel 1988 è tutt’altra storia di un Icaro negli anni ’50”, osserva l’artista. E tuttavia il soggetto ritorna, sollecitato da contingenze diverse: dal ripetuto schiantarsi al suolo di caccia a reazione, nel tempo più addietro; dall’“arroganza dell’essere umano nei confronti della natura”, più tardi.
Diversamente da altri artisti coevi, come il conterraneo Constant, la vicenda personale di Lataster non s’interseca con quella collettiva di movimenti e gruppi, attivi sulla scena dell’arte in termini di filiazione e insieme di contrapposizione nei confronti delle avanguardie d’anteguerra o – come l’Internationale Situationniste – tese tout court al “superamento dell’arte”. Benché già attivo al tempo della breve parabola di Cobra (2), cui sarà in seguito frequentemente accostato, anche in virtù della partecipazione a mostre, come le rassegne veneziane “Vitalità dell’arte” (3) e “Visione Colore” (4), allestite da Paolo Marinotti a Palazzo Grassi, imperniate in gran parte su autori di quel raggruppamento, Lataster non vi si unisce, marcando sin dagli inizi della carriera la propria indipendenza da ogni opzione di schieramento. Nello specifico, ciò che lo distanzia dalla componente olandese di Cobra è l’inclinazione di questa per l’arte infantile, laddove i suoi riferimenti, nei lavori della prima fase, sono identificabili piuttosto in Matisse, del quale recepisce l’intenso cromatismo (5), e in Picasso, di cui riprende la scomposizione della figura in opere come “Dode vrouw” (“Donna morta”, 1951) o nel grande pannello “Spelende kinderen” (“Bambini che giocano”, 1954), commissionatogli dal comune di Heerlen, e che per la sua concezione inconsueta suscitò reazioni di sconcerto.
Se “Icarus Atlanticus” (1954), che può considerarsi l’opera maggiore di questo periodo, conserva la traccia della scansione cubista, sovrastata peraltro dall’impiego di masse di cromie vibranti, alcune altre opere appartenenti al medesimo arco temporale lasciano già presagire gli orientamenti successivi: “Omhelzing” (“Abbraccio”, 1953) e “Arbeidersdrama” (“Dramma dei lavoratori”, 1957) dove è il colore stesso a proporsi come struttura, un colore non più semplice riflesso mimetico del reale ma “colore attivo”, capace di dare forma al mondo (6).
Con “Demostratie” (“Dimostrazione”, 1958) si delinea l’acquisizione di un secondo elemento che viene a caratterizzare il linguaggio maturo dell’artista: il dinamismo - esplicitato dalla tensione centripeta del dipinto - che evolve ulteriormente all’inizio del decennio successivo con l’acquisizione di un fattore gestuale, palese nei tracciati convulsi della spatola nella densa materia pittorica di “Verwoeste Oogst” (“Rovina del raccolto”, 1961), dove una cupa massa tempestosa si protende a oscurare il rigoglio estivo dei gialli e dei rossi.
Non è però, la sua, una gestualità puramente istintiva e attimale; al contrario si tratta di un movimento che si modula sul flusso delle contingenze con cui l’autore si rapporta. “La dinamica inerente a tutti i fenomeni naturali e alle emozioni che caratterizzano l’esistenza umana non può esser resa che in termini dinamici ed emozionali”, sottolineava Lataster in un’intervista del 1966 (7). “Quando, attraverso l’azione del dipingere, acquisisco una carica altrettanto forte dell’evento - umano o naturale - che l’ha ispirata, soltanto allora sento di aver raggiunto la soglia di una realtà pittorica che corrisponde alla realtà naturale da cui proviene l’impulso. Poi, se riesco a trovare l’equivalente pittorico dell’evento naturale o umano che mi colpisce, la tecnica e il soggetto si uniscono in maniera tale da divenire inseparabili”.
Sono, gli anni ’60, un periodo cruciale per l’affermazione dell’artista sul piano internazionale. Preceduto dalla partecipazione, nel 1959, alla seconda edizione di Documenta, il decennio vede il consolidarsi del rapporto – patrocinato dal direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam, Willem Sandberg - con la galleria parigina di Paul Facchetti, in prima linea sul fronte della ricerca informale (8). Nel 1966 Lataster soggiorna negli Stati Uniti in veste di professore alla Minneapolis School of Art ed ha l’opportunità di esporre alla Graham Gallery di New York (9). Le sue opere entrano progressivamente nelle collezioni dei principali musei olandesi (dallo Stedelijk di Amsterdam al Gemeentemuseum dell’Aja) ed europei (fra cui il Museum des 20 Jahrhunderts di Vienna e il Kunsthaus di Zurigo), mentre negli U.S.A. importanti acquisizioni vengono effettuate da istituzioni di grande prestigio come il MoMA e l’Albright Knox Art Gallery di Buffalo (10).
Sul finire del decennio Lataster inizia una serrata sperimentazione di nuovi materiali, inserendo nello spazio del quadro brandelli di plastica, fogli di metallo riflettente (dorati o color argento) con il proposito di conferire trasparenza e luce al dipinto, come accade, ad esempio, in “Licht, lucht over begraven fruit” (“Luce, aria, su frutta seppellita”, 1972), dove si instaura inoltre una peculiare dialettica tra forme geometriche ed elementi di natura (una rosseggiante cascata di ciliege) che si fronteggiano disinvoltamente nello sfondo informale. Più tardi, attorno al 1979, l’artista introduce nel dipinto brani realizzati con vernice a spruzzo, combinando squarci di tenuità sommessa a zone di corposa materia; creando, tra slabbrature e addensamenti, un effetto di percettibile tridimensionalità.
L’attività di Ger Lataster raggiunge, negli anni ’80, un altro culmine d’intensità creativa: in questo periodo – scrive il figlio Daniel (11) - “nascono quadri che uniscono un senso simbolico e universale all’immensa forza emozionale dell’opposizione tra la ‘metafisica’ e le funzioni elementari della vita. In questa unione il senso originale proprio dei simboli, così come il naturalismo degli oggetti usuali, vengono aboliti e lasciano spazio a un nuovo insieme che può ancora esser chiamato espressionismo astratto”.
I soggetti affrontati sono i più diversi: dalla drammatica serie “De dag der overwinning” (“Il giorno della vittoria”, 1985) incentrata sulla bandiera rossa innalzata il 2 maggio 1945 dai soldati sovietici sul Reichstag di Berlino, agli autoritratti; dai temi pastorali al confronto con maestri rinascimentali, come Botticelli (12), o moderni, come Manet (13).
È del 1987 quello che può considerarsi il capolavoro della maturità del pittore: una nuova versione di “Icarus Atlanticus”, realizzata in un doppio riquadro per il soffitto del Mauritshuis, il celebre museo dell’Aja che ospita la “Lezione di anatomia” di Rembrandt e la “Ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer. Qui il precipitare di Icaro, sorta di Prometeo aereo (14), di cui s’intravedono le ali e s’intuisce la caduta nell’abisso, si dispiega al margine di un cielo appena corrucciato, di vaporosità tiepolesca, dove il calore del sole trascorre a frustrare la protervia umana.
Ancora dieci anni più tardi, all’età di settantasei anni, Lataster affronterà con successo un’impresa altrettanto impegnativa, nel grande murale “Het laatste oordeel” (“Il giudizio finale”, 1996) del Palazzo di Giustizia di Arnhem.
La sua attività prosegue quindi ininterrotta, tra nuove esposizioni e sempre più estesi riconoscimenti, sino alla scomparsa, avvenuta nel 2012. Già in età avanzata, i documenti fotografici ce lo consegnano impegnato in un teso corpo a corpo con tele di misura spropositata. Ma la sfida che sino all’estremo è venuto affrontando nella pittura è d’impronta più radicale, perché – come egli stesso annotava – “l’arte non è libera. Ogni fibra, ogni filo la lega a tutto. Non in un senso negativo, ma come una necessità. L’arte dev’essere nutrita, deve avere una terra che la nutra, vuol avere senso”.

Sandro Ricaldone

Note
1) lunghi violenti tratti di pura pittura / plasmano forme conflittuali / nero rosso blu giallo / lottano / su grandi tele / il movimento del braccio / traduce sentimenti forti / con calligrafia astratta / in simboli febbrili / creando un messaggio .Parte iniziale del testo poetico di Willem Sandberg per il catalogo della mostra di Ger Lataster alla Graham Gallery di New York (v. nota 9)
2) Cobra, fondata a Parigi l’8 novembre 1948, dai Belgi Dotremont e Noiret, dagli Olandesi Constant, Appel, Corneille e dal danese Asger Jorn cessa di esistere già a fine 1951, dopo la seconda mostra sperimentale del gruppo allestita al Palais de Beaux-Arts di Liegi dal 6 ottobre al 6 novembre di quell’anno.
3) Vitalità nell’arte, Palazzo Grassi, agosto-ottobre 1959; Recklinghausen, Kunsthalle, ottobre-dicembre 1959; Amsterdam, Stedelijk Museum, dicembre-gennaio 59-60. Il catalogo riporta testi di Paolo Marinotti, Wilem Sandberg ed Henri Michaux. Vi son riprodotte tre opere di realizzate da Lataster nel 1958: “Signe sur tombeau”, “Oiseau et vague”, “Demonstration” (quest’ultima commentata in questo scritto).
4) Visione Colore, Palazzo Grassi, Venezia, luglio-ottobre 1963. In catalogo testi di Paolo Marinotti e Christian Dotremont.
5) Si veda, ad esempio, il ritratto “Meisje in rood” (Meisje in rosso”, 1945).
6) V. la chiusa di Epos in cammino, il testo di Paolo Marinotti che introduce la mostra Visione Colore (Palazzo Grassi, Venezia, luglio-ottobre 1963)
7) Jan van der Marck, An interview with Ger Lataster, nel catalogo della mostra di Ger Lataster alla Dayton’s Gallery di Minneapolis (22 marzo – 13 aprile 1966).
8) Lo Studio Facchetti aveva aperto il campo a questa nuova tendenza ospitando, nel novembre 1951, la mostra Signifiants de l’informel, curata da Michel Tapié, con la partecipazione di Dubuffet, Fautrier, Mathieu, Michaux, Riopelle e Serpan. La prima personale di Lataster allo Studio Facchetti è del 1960, seguita da altre nel 1962, 1964, 1966, 1969, 1972, 1974,1978. In Italia una tempestiva attenzione gli viene dedicata dalla Galleria Lorenzelli di Milano, presso cui espone nel 1960 e nel 1962.
9) New Paintings by Ger Lataster, Graham Gallery, New York, November 1 – November 26, 1966.
10) V. Paul Facchetti, Le Studio. Art informel et Abstraction lyrique, Actes Sud, Arles 2004, pag. 85, dovesi riferisce dell’acquisizione di una grande tela, intitolata Battlefield, da parte del Museo. Allo stato la collezione dell’Albright Knox contiene due altre opere di Lataster, “Icarus” (1957) e “Departing from Red” (1961).
11) Daniel Lataster, Temoin entre l’illusion et la réalité, in Lataster 1982-1988, De Kempen Pers bv, Hapert, 1989, pag. 33.
12) “De geboorte van Venus” (“La nascita di Venere”, 1985)
13) “Dejuner in het Bos” (“Dejuner sur l’herbe”, 1988).
14) L’espressione Promethée aerien appartiene a Gaston Bachelard che ne fa uso ne L’air et le songes (1943) a proposito del Prometheus Unbound di Shelley.