Perché eventi e mostre pagati con denaro pubblico vengono
affidati ai privati? l'intervento
Facoltà umanistiche in crisi le
"colpe" degli enti locali
FRANCESCO DE NICOLA
La difficile situazione finanziaria delle facoltà
umanistiche dell'Ateneo genovese, con le gravi ripercussioni sulla ricerca e la
didattica che ne conseguono, è stata lucidamente esposta da Vittorio Coletti in
un recente intervento ospitato su questo giornale; e tra le ragioni indicate
come causa di questa preoccupante situazione è la difficoltà delle facoltà di
via Balbi di autofinanziarsi, come invece accade a quelle scientifiche. La
ragione di questo fenomeno risale ad un rapporto molto debole, se non proprio
inesistente, tra le nostre facoltà umanistiche e le istituzioni cittadine; che
spesso affidano l'organizzazione di eventi e avvenimenti di grande impegno
culturale e finanziario non a studiosi e specialisti della nostra università,
ma a privati cittadini che hanno saputo costruirsi abilmente una reputazione
scientifica tutta da dimostrare.
Ecco allora che le centinaia di milioni necessari per organizzare nella nostra
città una mostra di risonanza mondiale o un festival di poesia finiscono nelle
tasche di privati cittadini, autorizzati dai pubblici amministratori a
scatenarsi in percorsi espositivi e letterari per lo meno bizzarri e di facile
consenso, invece di rientrare in legittime forme di collaborazione con
strutture universitarie, che da un lato consentirebbero di accrescersi. alle
magre risorse finanziarie accademiche e dall'altro offrirebbero al committente
la garanzia scientifica. delle manifestazioni.
Del resto sembrerebbe sin troppo ovvio che le istituzioni locali si debbano
rivolgere a quella che rimane la massima istituzione nazionale culturale, cioè
l'università, quando intendono svolgere una qualunque iniziativa culturale; e
nell'università genovese operaio dine di studiosi e ricercatori, ciascuno con
una propria storia scientifica di prestigio spesso internazionale, che sembra
difficile non possano soddisfare ogni tipo di esigenza nei campi dell'arte e
della letteratura, dello spettacolo e della storia, della sociologia e della
pedagogia - perché allora rivolgersi a sconosciuti o a troppo conosciuti (ma
non solo per meriti scientifici) appassionati che operano al di fuori delle
istituzioni e che magari ci tengono anche a polemizzare con queste, forse
perché a suo tempo non accolsero le loro richieste di farvi parte? Sembra
opportuno allora che chi, rappresentando le istituzioni pubbliche, intende
promuovere una qualunque iniziativa culturale consideri i dipartimenti
universitari come il suo primo e più naturale referente; e questo criterio
dovrebbe valere a maggior ragione nella programmazione delle manifestazioni dei
2004. In caso contrario la nostra città si offrirà al mondo con l'immagine di
una cultura disegnata da personaggi di discutibili qualità e abili soprattutto
nell'assicurarsi l'amicizia dei politici di turno, pronti a coccolarli e ad
assecondare la loro visione molto... personale della cultura.
E se poi, come certo è possibile, anche fuori dell'ambito universitario (che peraltro
rimane l'unica sede di ricerca sistematica e dove dunque opera chi conosce in
profondità e in prima persona i molteplici aspetti della cultura e perciò ha
anche le possibilità. dì divulgarla) si possono trovare esperti credibili, non
mancherà l'occasione per valersi della loro opera per iniziative pubbliche di
impegno più limitato e comunque non esclusivo e assoluto come invece accade ora
spesso; e resterà poi sempre aperto per loro il canale per nulla esiguo delle
collaborazioni a istituzioni private: nulla da eccepire, insomma, se il club
amici della pesca alla trota vorrà affidare l'organizzazione anche miliardaria
di una mostra mondiale di quadri e croste ispirate alla trota medesima al
signor Mario Rossi, che tra le sue referenza può vantare la frequentazione
assidua di tutti gli stagni del mondo.
(La Repubblica – Il Lavoro 25/6/2001)