CORRIERE DELLA SERA
sabato
, 23 giugno 2001
ECONOMIA
VANTAGGI
GLOBALI E LA SOCIETA' CHIUSA
Angelo Panebianco
I contestatori tra timori legittimi e protezionismo VANTAGGI GLOBALI E LA SOCIETA' CHIUSA di ANGELO PANEBIANCO Un' idea pericolosa si va diffondendo. È l' idea che i contestatori della cosiddetta «globalizzazione» abbiano più ragioni che torti: nel c riminalizzarla, nell' imputarle tutti i mali del mondo. C' è in giro una quantità davvero eccessiva di brave persone la quale pensa che, sì, vadano isolate le frange più violente, ma pensa anche che il «fine» del movimento antiglobalizzazione sia con divisibile, che la causa sia sacrosanta. Basta vedere, ad esempio, quanti sacerdoti cattolici si sono messi in movimento per «dare una mano» ai contestatori del prossimo G8; o leggere l' opinione del cardinale Silvano Piovanelli pubblicata da questo giornale due giorni fa. Tutti costoro accettano troppo facilmente gli slogan degli antiglobalizzatori: credono davvero che il potere di vita e di morte sui destini del mondo sia nelle mani di un pugno di multinazionali; credono davvero che la globali zzazione accresca la povertà al di fuori del mondo occidentale. Nessuno di loro è sfiorato dal dubbio che queste siano falsità. Nessuno di loro è disposto, ad esempio, a prendere in considerazione il fatto, ampiamente documentato, che, lungi dall' ac crescere la povertà, l' apertura dei mercati abbia, nell' ultimo decennio, contribuito potentemente a ridurla, e che i Paesi extraoccidentali che più si sono aperti ai mercati se la siano cavata assai meglio di quelli più chiusi. La vera novità è che non ci sono, in fondo, vere novità. Cambiano le forme e i modi ma il problema è sempre uno, da quando è nato il capitalismo: il conflitto fra i fautori della società aperta e i fautori della società chiusa, tra quelli che pensano che il commercio se nza barriere e restrizioni porti, col tempo, benessere e libertà a tutti coloro che vi vengono coinvolti, e quelli che lo intendono solo come una forma di sfruttamento e di oppressione (oltre che, va da sé, di «mercificazione» dell' esistenza). Nel v entesimo secolo, ci sono stati due grandi tentativi di «fermare» la società aperta, di ricostituire, in un modo o nell' altro la società chiusa: il totalitarismo nazista e quello sovietico-comunista. Tutti hanno potuto constatare quali orrori ne sian o scaturiti. Ma non tutti i fautori della società chiusa hanno imparato la lezione, né hanno cercato di capire perché è successo ciò che è successo. E adesso, eccoli al seguito del «popolo di Seattle». Come se non fosse proprio l' apertura delle soci età le une alle altre l' unica strada possibile per togliere spazio alle tirannie politiche, per innescare sviluppo auto-sostenuto, per fare arrivare un po' di libertà là dove non se ne è mai vista prima . Ma, dicono i più ragionevoli , i processi di globalizzazione vanno «governati». Hanno ragione, ma è più facile a dirsi che a farsi, e oltretutto i contestatori si sono scatenati, proprio a partire dall' ormai storico incontro di Seattle del 1999, in tutte le occasioni in cui gli Stati tentavan o, faticosamente, di mettere a punto qualche regola di comportamento comune, qualche strumento di governo. Non colpisce il semplicismo del pensiero di certi portavoce del movimento antiglobalizzazione (che immaginano il mondo retto da un governo occu lto delle multinazionali). Colpisce che ci siano così tante persone adulte disposte ad assecondarli. Non vedono che, al di là delle pur legittime sensibilità per i guai della parte povera del mondo, il motore politico del movimento è fatto da protezi onisti alla Bové. Poi ci sono le cose serie, alcune delle quali figurano nell' agenda del G8, e altre no. C' è la necessità, secondo diversi esperti, di riformare alcune cruciali istituzioni (come il Fondo monetario). C' è, ancora, il fatto che quest a importantissima parte del mondo più ricco, l' Europa occidentale appunto, vive in una cronica condizione di squilibrio (alla lunga, forse, pericolosa per sé e per gli altri): ha dato vita a una integrazione economica e monetaria senza però ancora d otarsi di una comune costituzione democratica. Ma queste, appunto, sono cose serie. Che poco sembrano interessare al «popolo di Seattle» e ai suoi rispettabili simpatizzanti.