GIOVANI ARCHITETTI A GENOVA/2
di Piero Millefiore
 
Quali sono gli strumenti più appropriati per analizzare oggi la complessità della città costruita
contemporanea?
Come sovrapporre alle algide e astratte rappresentazioni cartografiche notizie, indicazioni,
elementi che le rendano significanti?
Una lettura mirata dello spazio metropolitano può diventare anche strumento di progetto?
Una visione critica e per certi aspetti decisamente "politica", indagatrice di luoghi e situazioni
anomale ed eterogenee non codificabili in tipologie architettoniche o urbane (se non quella di non
essere riconducibile ad alcuna tipologia particolare) accomuna le esperienze e i modi di operare
di alcuni artisti o gruppi che hanno scelto il territorio come campo d'azione, il "non-luogo" come
luogo di nuove molteplici potenzialità, nel tentativo di sovrapporre a questi spazi e alle loro
rappresentazioni convenzionali il tessuto sociale e relazionale che gli appartiene.
Tra questi possiamo citare - tra gli altri - Luca Vitone a Milano, i Cliostraat a Torino e gli
Stalker a Roma.
Sono spesso i territori non definiti, i cosiddetti "terrains vagues" (spazi di risulta, edifici
e territori dismessi ed obsoleti, ecc.) che diventano oggetto di attenzione di questi gruppi,
insieme a quelli che potremmo definire "abitanti incerti", tutti coloro cioè che si muovono in
spazi sociali al confine tra legale e illegale, tra il riconoscimento burocratico e la non
legittimazione, ma che costituiscono una "mappa" sociale viva che si sovrappone a quella
cartografica ufficiale.
ACTIEGROEP
è un "gruppo di azione urbana" che trae il suo nome dal vocabolario olandese, collegandosi
idealmente alla grande tradizione dell'avanguardia di quel paese.
Si costituisce ufficialmente nell'autunno del 1998: i suoi componenti - inizialmente neolaureati e
studenti provenienti dall'Accademia Ligustica di Belle Arti e dalla Facoltà di Architettura di Genova
- si proponevano di indagare attraverso happenings, performances e installazioni gli spazi residuali,
quegli spazi cioè non più riconosciuti come interni al tessuto sociale.
E' perciò che nei loro interventi privilegiano la periferia al centro, lo straordinario di ciò che
non appare o appare banale all'ovvio di una architettura di per sè straordinaria.
Esemplare l'intervento proposto nell'area già della fabbrica di mattoni SANAC a Bolzaneto dove
l'organizzazione di una serie di eventi/performances si proponevano di indagare il vuoto - memoria
di ciò che prima vi era stato - attraverso segni minimali ed effimeri: una partita di calcio diventa
l'occasione per tracciare debolmente e temporaneamente le dimensioni e i confini di quello spazio;
il gioco degli aquiloni per riappropriarsi dello spazio aereo del cielo e gettare metaforicamente
uno sguardo dall'alto; infine, la presenza fluttuante e fragile della luce dei lumini nel buio per
"segnare la forza dei possibili ingressi nel luogo delle potenzialità".
La memoria diventa invece il filo conduttore dell'intervento degli Actiegroep nell'ex Cotonificio
di Cornigliano: un edificio espulso dal sistema produttivo per ragioni storiche ed economiche, chiuso
anche nei confronti della città da un impenetrabile muro e pronto per una sua demolizione/cancellazione,
viene "estroflesso" mediante la proiezione di immagini e filmati dei suoi spazi interni e di altri
analoghi all'esterno dei muri di confine. L'esterno e l'interno vengono così a coincidere,
"la memoria dell'architettura e l'architettura della memoria" sono gli elementi attraverso cui si
tenta di ridare un senso a quegli spazi.
Ogni occasione necessita della sua risposta: il "progetto effimero" diventa il modo per una verifica
delle potenzialità dei luoghi, in realtà una diversa possibilità per una loro rilettura. E là dove gli
strumenti della disciplina non bastano, li si "rubano" alle altre arti.
"Progetto" quindi come capacità di mettersi in sintonia con il luogo scelto, ma anche con i comportamenti
di chi quel luogo vive o potrebbe viverlo; un progetto che tenta di agire sulla percezione, sulla memoria,
sul "riuso" come possibilità di riappropriazione delle potenzialità dello spazio metropolitano nel suo
complesso.
Per certi aspetti più ampio il campo d'azione degli A12. Il loro percorso inizia già nel 1993: ancora
studenti della facoltà di architettura trovano situazioni stimolanti all'interno dei corsi progettuali
di docenti come Ermanno Ranzani e Maurice Cerasi. Ma è con Stefano Boeri - conosciuto nei corsi estivi
dell'ILAUD di Giancarlo De Carlo e poi docente a Genova - che si stabilisce un rapporto preferenziale
che dura tutt'ora.
Già nel 1996 gli A12 vincono il concorso nazionale di architettura per la realizzazione di 25 appartamenti
di edilizia sovvenzionata a Borghetto Lodigiano (LO). Il loro spazio di lavoro e di studio a Genova -
il cosiddetto "stanzone" - diventa anche il luogo per incontri, dibattiti, discussioni, scambi.
Tuttavia è con la Biennale Giovani di Torino del 1997 che il gruppo trova l'occasione per sperimentare
"l'arte da architetti" con una installazione ("Epidemie Urbane") composta da una serie di oggetti - cubi
di diversa dimensione - che come una malattia infettiva dovevano proliferare all'interno della città,
occupando tutti gli spazi della vita quotidiana: dai tavolini dei bar ai parcheggi, dai salotti alle
discoteche.
Attraverso una serie di regole prese a prestito dalla disciplina dell'architettura invadono il campo
dell'arte, prima - dichiarano loro stessi - in modo "naif", quindi in maniera sempre più consapevole e
meditata, continuando però a praticare una identità di temi con l'architettura e lo spazio urbano.
Il simbolo che hanno scelto - quello che sui segnali stradali indica l'autostrada - è anche metafora
del loro nomadismo culturale, del loro porsi "tra" una disciplina e un'altra. E cioè tra architettura,
urbanistica, e arte.
Senza abbandonare comunque l'attitudine al "fare architettura" - attraverso concorsi e incarichi -
gli A12 cercano di ristabilire un "ruolo critico dell’architettura rispetto al contesto socio-culturale
in cui si realizza", lavorando sull'uso minimo dei materiali e degli spazi di relazione, sul loro valore
ambientale, ma anche sul confronto e sull'utilizzo dei materiali "standard" del mercato.
E' perciò che nel 2000 a Villa Medici a Roma propongono l'installazione di una serra della memoria
(La ville, le jardin, la mémoire) realizzata con materiali standard, installazione che da effimera
diventa permanente accogliendo il progetto dell'archivio degli artisti di Giancarlo Norese.
Nuove modalità espressive e di lettura dello spazio urbano (e non solo) sono state indagate dagli A12
alla VII Biennale di Architettura di Venezia con il progetto
"Parole" realizzato insieme a Udo Noll
e a Peter Scupelli. L'installazione riproduceva in qualche modo il loro spazio di lavoro: qui da
alcune postazioni di PC si poteva accedere alle pagine Web che riportavano un elenco (con esplicito
riferimento a George Pèrec) di luoghi, situazioni, modalità di essere dello spazio urbano: un catalogo
che tendeva - analogamente all'operazione di alcuni artisti come ad es. Mark Dion - ad annettere nuove
situazioni e nuovi concetti con la logica non dell'esclusione ma dell'annessione, dell'"e...e..."
e non dell'"o...o..." come a suo tempo ci insegnava Robert Venturi.