Arti & Architettura. 1900-2000
Un dibattito organizzato dagli Amici dei Musei
Carlo Bertelli, Luca Borzani, Germano Celant, Vittorio Gregotti, Franz Prati, Sandra Solimano
Moderatore: Giorgio Teglio
Sala delle Grida - Palazzo della Nuova Borsa
Genova 26.02.2005
Talvolta riesce, ai genovesi, di elevare l'amabilità dei toni all'altezza della loro perfidia. Così
ieri nel corso del dibattito sulla mostra "Arti & Architettura 1900-2000" organizzato dagli Amici dei
Musei alla Nuova Borsa, si sono scambiati con souplesse - anche attraverso giochi di sponda con
interlocutori milanesi - frecciate non indolori.
Dopo il saluto di Paolo Odone per la Camera di Commercio, padrona di casa, e l'introduzione del
Presidente dell'Associazione, Giorgio Teglio, già impostata su un taglio problematico, ad aprire i rilievi
sulla mostra è stato Vittorio Gregotti, secondo cui Celant vi ha rappresentato non la situazione odierna
dell'architettura nella sua complessità ma un punto di vista: quello di una tendenza oggi vincente dal
punto di vista mediatico, fondata sulla presa di potere dell'estetica, del gesto, sulla spettacolarità.
E di avere artatamente proposto questa tendenza nel segno della continuità con le avanguardie storiche
laddove queste si muovevano non sotto il segno del consenso, dell'"alleanza conveniente con l'oggi", con
un "mondo contemporaneo assuefatto all'irregolarità, dove l'irregolarità vera sarebbe recuperare una
regola" ma sotto quello della distanza critica dal presente, del tendere ad una autentica riformulazione
utopica. Da una simile impostazione, secondo Gregotti, è derivata anche la prospettazione del rapporto fra
le Arti Visive (che nel loro continuo spostamento hanno smarrito la propria definizione) e
l'Architettura in termini di confusione piuttosto che di dialogo, di cui l'esempio
più vistoso si rinviene nell'attuale concezione del .
Carlo Bertelli ha posto, dal canto suo, il problema della contesto in cui si cala l'intervento
architettonico, con riferimento in particolare al concorso per la riqualificazione della Zona Fiera a
Milano e al progetto di Zaha Hadid per il Museo d'Arte Contemnporanea di Roma.
Franz Prati, Direttore del DIPARC, si è soffermato in particolare sul trapasso dall'utopia delle
avanguardie (un'ispirazione attiva sino agli anni '60) e l'a-topia, la non presenza del
luogo, che contraddistingue il momento attuale, dove l'architettura diviene essenzialmente
un'icona priva di connotazioni e di significati storici. "La buona architettura - ha
sostenuto Prati - ha sempre portato con sè questo sottotesto: la necessità di integrare
esteticamente un vincolo di fondo", rappresentato dal contesto non meno che dalla funzione.
Questo legame oggi sembra essersi spezzato, così che se dovessimo immaginare di costruire oggi
una Strada Nuova composta da edifici realizzati da Peter Cook, da Gehry, da Rem Kolhaas ecc.,
probabilmente il risultato sarebbe un incubo.
L'Architetto Guarino ha ripreso il tema della contestualizzazione a proposito delle installazioni
disseminate nella città, troppo "tradizionali" e preconfezionate per attivare un reale dialogo con
l'ambiente.
Celant ha sostenuto di essersi mosso, nel progettare la mostra, abbinando la prospettiva storica
all'osservazione della contemporaneità, per approdare ad una lettura "estremizzata" in grado di suscitare
il dibattito sulla situazione presente. Nella quale si registra effettivamente uno scarto rispetto alle
avanguardie storiche, un mutamento di attitudine ove le stesse avanguardie divengono
un riferimento essenzialmente iconografico. E lo scenario non è più quello europeo, o comunque
occidentale, attento alla dimensione storica, ma piuttosto la "tabula rasa" della globalizzazione.
Un progetto architettonico ormai può essere realizzato a New York come a Shangai o in India, senza
differenze. L'Architettura è divenuta un "oggetto volante" che cade e si localizza a seconda delle
commissioni. E' creatività senza radici. Il posarsi di un momento senza storia su un terreno vuoto.
A questa tendenza nel campo dell'Architettura corrisponde un analogo movimento nel campo delle
Arti Visive, nelle quali la "distanza critica" ha ceduto il passo al reality show.
Se il '68 ha avuto un'immagine radicale, oggi c'è invece - da parte degli artisti - un'identificazione
totale con i media e le tecnologie. La creatività diventa merce aggiunta.
Quanto al rapporto fra Arti Visive e Architettura Celant ha precisato che questo si manifesta non
soltanto in un intreccio di apporti reciproci, ma anche nel modo di fruizione. In questo saenso la
mostra ha inteso presentare anche un modo di guardare all'Architettura attraverso lo sguardo della
pittura, della fotografia, del cinema.
Quanto agli interventi nella città, si è trattato di un'estensione del progetto originario della
mostra studiato per coinvolgere anche quanti non avrebbero visto la mostra. Trattandosi di un'idea
gestita fuori budget e in tempi ristretti ha subito una serie di condizionamenti (si è trattato in
bona parte di lavori già predisposti e non creati appositamente) il che ha certamente costituito
un problema. Resta però che si è trattato di un segno iconico forte.
Giovanni Rizzoli, artista e docente alla New York University, ha sottollineato come la lettura delle
Arti Visive del '900 da parte di Celant sia stata unilaterale, condizionata dall'approccio linguistico
duchampiano che non è più nello Zeitgeist di oggi.
Luca Borzani, Assessore alla Cultura del Comune di Genova, si è soffermato sul significato del 2004,
sottolineando come il suo valore aggiunto si sia realizzato non tanto nella materialità degli interventi
eseguiti e nell'afflusso di visitatori, quanto nell'immaterialità dell'identità rigenerata e nella
costruzione di una rete culturale diffusa su cui diviene possibile disegnare il futuro della città.
Nell'immediato la sfida consisterà nel dar vita ad una nuova dimensione dello spazio pubblico come
spazio d'interazione fra soggetti pubblici e prvati, e come spazio aperto agli apporti delle nuove
generazioni, nel tentativo di ricollegare arte e cultura ai processi sociali.
Sandra Solimano, Direttrice del Museo di Villa Croce, ha rimarcato come il risultato del 2004,
per quanto riguarda l'arte contemporanea, sia stato buono ma non straordinario. Le 50.000 presenze
ad "Arti & Architettura" e le 35.000 del Museo di Villa Croce non hanno
raggiunto insieme nemmeno la metà dei visitatori dell'"Età di Rubens".
La scelta di Celant ha rappresentato certamente un'inversione di tendenza rispetto ad un passato
non lontano, e certamente è stata giusta la sua scelta di non pensare una mostra per Genova ma per
il contesto mondiale. Meno appropriata è stata invece la scelta di tener separate la promozione
della mostra celantiana dagli altri eventi in programma che pure avevano numerosi punti di contatto
proprio sui temi del design ("Arredare la casa, abitare il museo" con le collezioni del FRAC,
"Normali meraviglie" di Alessandro Mendini), della vicenda dell'arte ("Il viaggio dell'uomo immobile",
"Attraversare Genova") e dell'intervento nel contesto urbano ("Empowerment").
E' mancato il gioco di squadra ed anche un filtro che consentisse di mediare verso la città queste
nuove esperienze, che sono comunque da riprendere, almeno con una grande mostra d'arte contemporanea
ogni anno, allestita da un critico di rilievo internazionale.
Celant, intervenendo nuovamente, ha precisato che quello dei "grandi nomi" è un semplice escamotage
che non serve però a differenziare Genova sul mercato culturale globalizzato. Invece di puntare su
un'offerta generica o generalista bisogna puntare su una progettazione che porti ad una proposta
magari settoriale ma in grado di competere sulla scena globalizzata, com'è avvenuto appunto per il
Barocco genovese.
Proprio in questo senso l'idea di una "mediazione" verso il pubblico locale appare negativa. Ogni
iniziativa deve essere condotta secondo un principio di qualità: una mostra come Arti & Architettura
non può essere pensata in maniera diversa per Genova o New York. Un "adattamento" sarebbe un'offesa
per la città.
A questo proposito Viana Conti ha rilevato che il problema della mostra non è stato il livello troppo
elevato per i genovesi. Semmai il contrario: da Celant ci si attendevano stimoli decisamente più
vivaci e più attuali. E in conclusione Giovanna Rotondi Terminiello, già Sovrintendente alle Belle
Arti e ora docente dell'Ateneo genovese, si è detta convinta che per quel che riguarda l'arte
contemporanea sia stato iniziato un percorso che, con progressivi affinamenti e stratificazioni,
potrà portare allo stesso successo delle inniziative sul barocco, che - non bisogna dimenticarlo -
erano iniziate dodici anni prima, nel 1992, con "Genova Barocca", i cui numeri (35.000 visitatori)
erano inferiori a quelli di "Arti & Architettura" ma sono cresciuti sino ai livelli attuali grazie
alla continuità ed alla coerenza dei programmi.