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Piergiorgio Colombara Piergiorgio Colombara Exbronzo, 2004 Piergiorgio Colombara Exbronzo, 2004 Piergiorgio Colombara Exbronzo, 2004 |
Piergiorgio Colombara
Ahimè.
Sono come l'occhio che vede quello che vede. Il suo più piccolo movimento
trasforma il muro in nubi, la nube in orologio, l'orologio in lettere parlanti.
Forse è questa la mia specializzazione, la mia specializzazione
è la mia mente. Essa si conosce come voi conoscete.
Voi, la famiglia dei fedeli, voi, le anomalie della
coniugazione dorica e voi la teoria delle forme quadratiche. Paul
Valery In assenza di anime, Piergiorgio Colombara si occupa di cose e, più recentemente,
anche di corpi, ovvero dei loro simulacri - abbigliamenti e armature - che
alla fine risultano pur sempre l'essenziale. Così
operando, con invidiabile solitudine e metafisica gentilezza, egli ci fornisce
più dosi di verità di quante ne renda abitualmente
disponibile il cosidetto sistema della comunicazione,
cioè il complesso della vita corrente. Questa constatazione, che non necessita di particolari qualità ermeneutiche ma solo di uno
sguardo non troppo offuscato dal dereale, può
servire come osservazione preliminare a un' opera complessa e stratificata che
presuppone un lungo lavoro sul linguaggio della scultura che Colombara ha saputo rivitalizzare
come pochi altri. Allo sguardo del semplice spettatore (ancorché affezionato), come è chi scrive, e non quindi del critico di professione o
dello storico dell'arte, il punto di partenza del lavoro di Colombara
è una precisa idea dell'oggetto che si va consolidando in una costellazione di
artisti (basti citare Claudio Costa), a metà degli anni Settanta e che,
semplificando molto, si potrebbe definire "antropologica", non
soltanto nel senso di un recupero di ritualità che si ricollega a società
organiche, utilizzate come pietra di paragone metaforica della
contemporaneità, ma come sviluppo creativo del concetto di
"valore-segno" elaborato da Jean Baudrillard
nel campo dell'economia politica e della filosofia: nella società dei consumi
"il carattere di feticcio della merce" prevale e il contenuto
simbolico delle cose, in una dimensione che è però assolutamente
secolarizzata, assume una nuova centralità, come avevano già visto bene le
avanguardie storiche. Colombara si situa in questo contesto in modo originale e autonomo, spostando i piani del
discorso e imponendo una poetica che, sin dai suoi esordi, risulta tanto
coerente e omogenea quanto leggera e quasi impercettibile. L'immaginario
di Colombara si caratterizza per la capacità di
produrre forme del tutto sconosciute e al tempo stesso
famigliari, sculture che sembrano oggetti d'uso, ma di un uso primordiale di cui
è come avessimo smarrito il ricordo, messaggeri innocenti di quello che Freud ha chiamato il perturbante. Uno
dei modelli fondanti di questa pratica estetica è lo strumento musicale che Colombara destruttura con un attenzione sistematica che svela un'autentica passione. I
suoi sono strumenti muti che certamente segnalano una mancanza, un'impossibilità,
un vuoto, ma che al tempo stesso racchiudono una forza, una potenzialità, una speranza
di superamento della soglia del silenzio. Lo
stesso avviene nelle innumerevoli altre forme che abitano la fucina mentale di Colombara, il suo laboratorio alchemico; ampolle reduci da
un esperimento fallito, turiboli di un culto senza dei, urne
senza ceneri, macchine a vapore senza vapore, forni senza pane, monumenti senza
eroi, ex voto per miracoli mai avvenuti, gabbie pronte ad accogliere usignoli
fuggiti dal paradiso, rastrelliere per sognatori, gioielli per ciclopi, vele di
bronzo, navi instancabili, schiacciasassi per faraoni. Oggetti impensabili, che
nel momento stesso in cui fuoriescono dalla fabbrica colombariana
noi riconosciamo però come indispensabili. Il
procedimento creativo, infatti, prima desacralizza l'oggetto e poi lo risacralizza con
un effetto che, senza addentrarci in complicate dimostrazioni, potremmo
definire senz'altro Bellezza. Il
lievito di questa
sublime gastronomia è la memoria. Intesa però nel suo senso
più profondo che non è solo quello del ricordare ma quello del creare,
la memoria quindi non come fonte ma come fine. Utilizzando
l'inesauribile archivio della memoria che è (ed è meglio che sia) un
disordinato magazzino di idee, persone, passioni,
terrori il fabbro Colombara ci restituisce un'identità,
instabile, zoppicante, frammentaria e proprio per questo tanto più funzionale,
adatta ai tempi. Un'identità che è sua, ma un po' anche nostra. Giuliano Galletta
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