Geoff Hendricks
in performance
Villa Croce
16/2/2002

Foto di Silvestro Reimondo



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LA COSTELLAZIONE FLUXUS A VILLA CROCE
di Sandro Ricaldone


   

 

Prosegue in città la festa Fluxus, che ha toccato ieri il suo apice con l'inaugurazione della rassegna "Fluxus Constellation", ordinata da Sandra Solimano nelle sale del Museo di Villa Croce, dove opere "storiche" degli artisti del gruppo interagiscono con la produzione più recente, in un continuo rinvio fra tratti giocosi e riflessioni profonde, seppure sovente eccentriche, a proposito della vita e sull'arte.
Nato per iniziativa di George Maciunas, un lituano trapiantato a New York, designer, musicologo e performer, che a partire dal 1962 ha riunito sotto questa denominazione, in una serie di festival, un folto numero di artisti americani, europei, giapponesi e coreani, già attivi nella ricerca di nuovi paradigmi in cui aspetti musicali, visivi e teatrali si intrecciavano in nuove forme creative, Fluxus ha incarnato - a detta di Dick Higgins, uno dei suoi maggiori protagonisti - un'attitudine, "un modo di fare le cose, una tradizione, un modo di vivere e di morire".
Nel percorso della mostra risultano evidenti alcuni degli aspetti caratterizzanti di questa esperienza: l'internazio-nalismo anzitutto (sono rappresentati autori provenienti da una decina di nazioni), e - come si è accennato - la propensione a sperimentare linguaggi ai confini fra discipline espressive diverse. Ma, con vitalità forse ancor maggiore, balzano agli occhi aspetti ludici (ad esempio nella bancarella "Extra Do It Yourself", versione compatta dell'installazione realizzata da Takako Saito nel 1994 allo Studio Leonardi. Esposta in mansarda) e l'indeterminazione riconoscibile nelle varianti di suono prodotte dalle macchine musicali di Joe Jones, installate nell'ultima sala al piano fondi.
Fra le opere di ogni singolo autore corrono naturalmente differenze anche macroscopiche: così all'installazione di Ben (appositamente elaborata), che gremisce i muri con scritte tracciate con multicolori vernici spray, con tele, fogli e assemblages d'oggetti, sembra contrapporsi il minimalismo di George Brecht, che inscrive la parola "void" (vuoto) su lastre di pietra irregolari, scheggiate ai margini, immerse talvolta in blocchi di plexiglas o l'approccio concettuale di Henry Flynt che saggia le potenzialità del paradosso d'impronta magrittiana, componendo su foglio la frase "This Sentence is in French" (1988), definita a margine come "falsità che si autoverifica".
Mentre i lavori esposti di Yoko Ono - una serie di quattro disegni composti con larghe scie d'inchiostro - paiono legati in particolare al retaggio della calligrafia giapponese ("Untitled", 1990) Al Hansen mette in parodia la tradizionale statuaria delle "Veneri", ricomponendone il profilo con centinaia di cicche di sigaretta ("Gold Box Isabella Venus", 1992).
Geoff Hendricks ripropone la fusione di vita ed arte, anch'essa caratteristica di Fluxus, con una serie di lavori degli anni '70 ("Fluxus Divorce Boxes") imperniate sul proprio divorzio e rende omaggio al cielo di Liguria con un'installazione di acquarelli ove l'azzurro si vela del grigio delle nubi, inframmezzata da riquadri d'ardesia ("Un cielo per Genova", 2000).
George Maciunas è rappresentato da opere d'epoca fra cui spicca una bandiera statunitense in cui le stelle sono sostituite da piccoli teschi spiegata dalla didascalia "USA Surpasses All The Genocide Records"; Dick Higgins da una serie di fotografie di performances degli anni '50 e da alcune tavole in cui figure e scorci naturali fanno da sfondo a lettere e geometrie colorate.
Eric Andersen espone uno sgabello corredato dall'invito, rivolto ai visitatori a divenire membri della sua audience casuale. Di Giuseppe Chiari compare lo spartito di un "Concerto per automobili (1965). Di Philip Corner, che si cimenterà nei prossimi giorni in una ripresa delle sue "Piano Operations" (1962) usando un pianoforte in maniera anomala, sino a distruggerlo, vengono presentate le tavole di "Air Effect" (1962) e un pirotecnico "Making Love with Laura" del 1992.
Robert Filliou compare con un "Clock Work" (1972) in cui le ore sono sostituite dalle impronte delle mani di ventiquattro artisti, fra i quali si annoverano Andy Warhol e Red Grooms, Jasper Johns e Ray Johnson. Evidenziate da un forte fascio di luce si staccano dalle pareti le "Finestre per una Cattedrale Fluxus" di Emmett Williams cui fanno da contrappunto le vivaci "Rainbow Clouds" (1999) di Ay-O.
Un lungo telo bruno, con grandi tasche piene di reperti ("Autumn", 1984) documenta l'attenzione di Alison Knowles per l'ambiente naturale ed il ciclo delle stagioni. Larry Miller sospende quattro guanti con dita di colori opposti per realizzare la sua "Composition in Black and White" (1999). Di Nam June Paik figurano in rassegna due omaggi, rispettivamente a Joseph Beuys ed a John Cage, chiaramente influenzati dalla sua esperienza nel campo della videoarte, e un'opera di singolare fascino evocativo, in cui una statua di Budda sembra contemplare un televisore il cui interno, svuotato, è illuminato da una candela.
Ma l'opera che meglio d'ogni altra restituisce il senso collettivo di questa esposizione è "Constellations of the First Magnitude" di Ben Pattercon: una stanza dipinta di nero disseminata di globi luminosi in cui sono classificati tutti gli artisti invitati, ritratti su uno sfondo ricavato da un'antica mappa zodiacale, in rapporto al loro segno ed alla loro data di nascita. Una costellazione creativa che - a quarant'anni dagli esordi - ancora non accenna a spegnersi.

(febbraio 2002)






THE FLUXUS CONSTELLATION
Museo di Villa Croce (Via Jacopo Ruffini 3 - Genova)
15 febbraio - 16 giugno 2002
Catalogo Edizioni Neos - Genova (15 Euro)
Orario: martedì-venerdì: 9-19; sabato-domenica: 10-19
Ingresso: 4,50 Euro (intero); 3,00 Euro (ridotto)
Performances al museo:
venerdì 15 febbraio h. 17,30
sabato 16 febbraio h. 17,30.







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