Su "La Repubblica - Il Lavoro" di oggi, 31 gennaio 2001, Matteo Fochessati ha
espresso un articolato parere (apri) sulle polemiche seguite alla inaugurazione della mostra "1950-2000.
Arte contemporanea genovese e ligure dalle collezioni del Museo di Villa Croce".
Riportiamo, nelle righe che seguono, una rapida risposta.
Caro Matteo,
non si può non apprezzare il tuo intervento sulla pagina genovese de La
Repubblica. Il discorso che hai svolto è a tutto campo e, giustamente,
collegato all'evoluzione del sistema dell'arte e dei mezzi di comunicazione.
Ma, nonostante questo, le conclusioni che raggiungi non sono tutte condivisibili.
E' inutile, dici, soffermarsi sulla dinamica delle presenze e delle assenze
in una mostra per giudicare la validità della politica culturale del museo
che l'ha allestita e, più in generale, della città, verso l'arte contemporanea.
Altrettanto sterile sarebbe continuare ad occuparsi di arte ligure di fronte
alla dissoluzione dei confini e alla globalizzazione dei linguaggi artistici.
Si potrebbe quasi inferirne che sia superfluo occuparsi degli artisti che operano
a Genova e in Liguria, se non in contesti espositivi privi di riferimenti
territoriali.
Al riguardo ho più d'una perplessità. Intanto il fatto che si registrino
assenze basilari (non di questo spezzino o di quel savonese, ma di tutti gli
spezzini e di tutti i savonesi; non solo di opere di Scanavino e di Emilio Prini
ma di gran parte degli informali e dei poeti visivi) induce a ritenere:
1) che i criteri di raccolta delle collezioni non abbiano nulla di scientifico
ma siano principalmente occasionali, ciò che sembra poco serio per un museo e sicuramente
non giustifica da parte sua "gesti di orgoglio";
2) che la programmazione quasi esclusivamente monografica sin qui praticata non
costituisca un metodo economico ed efficace nè sotto il profilo della
sistemazione storica nè sotto quello dell'acquisizione patrimoniale;
3) che, sotto il profilo "didattico", il museo avrebbe fatto meglio a rinviare
l'esposizione al momento in cui fosse stato in grado di fornire un'immagine più
precisa di quella che è stata la creazione artistica in Liguria.
Insomma, se può non apparire importante in sè, l'analisi degli scompensi riscontrabili
nella mostra in corso a Villa Croce diviene particolarmente significativa
quando la si consideri come segnale o come traccia dei problemi sollevati dalla
gestione del museo.
Quanto alla necessità che Villa Croce ripensi il suo ruolo anche in chiave di
documentazione delle tendenze in atto in campo internazionale siamo tutti
d'accordo. Compresi, mi pare, i vertici del museo e - forse - anche l'ondivago
Assessore. Circa l'opportunità di seguire - come suggerisci - l'esempio
di Milano che ha scelto, per rivitalizzare il settore contemporaneo, di affidarsi
ad un curatore di grande qualità ed esperienza internazionale come Jean-Hubert
Martin non esiste discussione (fra l'altro era proprio a questo che alludevo nella
chiusa del precedente intervento su Tr@ct News del 25 gennaio).
Il problema non sta però nel ribaltare la politica "localistica" sin qui seguita
in un "internazionalismo" standardizzato o nel dare un colpo al cerchio ed uno
alla botte, alternando schematicamente iniziative legate ora all'una ora
all'altra di queste due dimensioni. Bensì nel trovare una forma inventiva di
sintesi che incarni una ispirazione "glocal".
In effetti non è del tutto vero che ormai esista soltanto una sorta di
"international style", imperante da New York a Londra e, magari, anche a Shangai
e Milano.
Talune tendenze occidentali ben conosciute hanno fatto leva su una connotazione
geografica per affermarsi (gli "Young British Artists" per esempio).
E, se si scandaglia una rivista on line come "ArtNet", si riscontra come,
anche negli U.S.A., le declinazioni locali siano in ripresa. Infine la scoperta
degli artisti del terzo mondo, sviluppata appunto da Jean-Hubert Martin - prima
con "Magiciens de la terre", cui hai fatto cenno, e più di recente con
"Partage d'exotismes" - implica una tendenza alla rivalutazione delle specificità
culturali che in qualche modo riguarda anche noi.
Con questo non voglio certo dipingere i liguri, nonostante le loro origini
ancestrali, come portatori di una cultura tribale e nemmeno sostenere l'esistenza
odierna di una "Ecole de Gênes" (anche se si tratta di uno strumento che non
molto lontano da qui, a Nizza, hanno saputo foggiare ed utilizzare abilmente).
In conclusione, l'obiettivo da raggiungere dovrebbe consistere nella
programmazione di una serie di iniziative (originali ed in grado di ottenere
visibilità nel circuito dei media) tese a stabilire una connessione fra la
creazione realizzata in ambito locale, favorendone la conoscenza all'esterno,
ed i molteplici aspetti della produzione artistica internazionale.
Va da sé che questo non può essere compito di Villa Croce, ma della città nel
suo insieme e, possibilmente, della Regione. E che comporta l'istituzione di
stretti collegamenti quanto meno in Europa (è possibile ipotizzare un circuito
di città mediterranee come Barcellona, Marsiglia, Atene?). Il G8 ed il 2004
potrebbero favorirci in questo.
D'altronde non è solo ora che si delinea questa prospettiva.
Nel 1988, in un numero di Ocra (Controllare il rumore) dedicato alla situazione
artistica a Genova già si agitavano gli stessi problemi. E, bene o male, mostre
come "Arte della Libertà", "Futurismo. I grandi temi" e "Figure dell'anima",
hanno fatto recuperare, seppure transitoriamente, una posizione adeguata nel
circuito delle grandi esposizioni riferite alla contemporaneità. Ultima nota:
un progetto basato sulle valenze internazionali di eventi legati al territorio
ligure l'avevamo abbozzato un paio di anni fa', Franco Sborgi ed io. Può
interessare a qualcuno?
Sandro Ricaldone
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