MC#2 - Museum Collection 2
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
dal 6 luglio al 26 settembre 2010
Avventura intellettuale, smania di possesso, forma d'investimento: per i privati la collezione può essere tutto questo, ed altro ancora. Per il Museo - cui già a fine '700 il pittore Jacques-Louis David attribuiva il compito di essere "non una raccolta di oggetti frivoli, ma un'autorevole scuola" - la conservazione e l'accrescimento delle collezioni costituiscono invece il compito primario. Ci si potrebbe perciò attendere una prassi che, seppure non più ispirata ai criteri classicisti di bellezza e armonia, cerchi d'individuare - come ha scritto Walter Benjamin - "quel gruppo di fili che rappresenta la trama del passato nell'ordito del presente".
Per fortuna, almeno nel campo dell'arte contemporanea, le cose non stanno precisamente così. Accanto alle dimensioni storiche e didattiche, proprio nell'attività di accrescimento delle raccolte i musei hanno sviluppato una funzione di ricerca nient'affatto secondaria, che oltrepassa la barriera dei valori consolidati per addentrarsi in un'attualità ancora tutta da indagare.
Ne è un esempio la mostra "MC² - Museum’s collections # 2", curata da Francesca Serrati per il Museo di Villa Croce con l’obiettivo di "documentare l’attività di promozione della ricerca artistica emergente svolta negli ultimi anni".
Tra i lavori in mostra - cui sono accostati, in un'ideale contrappunto, alcuni pezzi "storici" (da Licini e Fontana a Manzoni; da Florence Henri e Cesar Domela a Grazia Varisco) - si dà quindi spazio ai giovani artisti, molti dei quali attivi in Liguria anche se non mancano presenze di autori affermati, italiani e stranieri.
Fotografia, video, installazione dominano la scena, articolata tuttavia in un ventaglio di declinazioni notevolmente diversificato. Vi è chi piega ai nuovi linguaggi tecniche tradizionali, come fa con il disegno Claudio Ruggieri, invitando il pubblico a farne dilavare il colore sulla parete, o con la scultura Giovanni Rizzoli, ordinando la serie di teste in bronzo che compongono "Pleasure-pain" in un assetto spaziale saldamente strutturato.
Altri inglobano nelle loro opere contenuti critici: è il caso di Monica Carocci, che in "Nidina" inquadra un barattolo di una marca di latte in polvere, imputata di scoraggiare l'allattamento naturale per ragioni di mero profitto, e dell'italo-elvetico Roberto De Luca che in "Tea-service" mette in campo tazze decorate (per così dire) con scene riprese nel carcere irakeno di Abu Ghraib.
Su un versante di esplorazione sociologica si incontrano, accanto alle periferie giapponesi di Guido Castagnoli, i desolati panorami di Andrea Botto dei cantieri notturni sulla linea TAV Milano-Bologna, cui si possono affiancare i "China Kisses" di Maria Rebecca Ballestra, reperti di una realtà scissa fra globalizzazione e tradizione.
A scandagliare i dispositivi dell'opera si volgono Mauro Ghiglione, che in "Correlazione ossigenata" sconfessa i contenuti memoriali dell'immagine fotografica sovrapponendovi la freddezza metallica di due bombole d'ossigeno, e Massimo Palazzi che invece, in "Yet five items", spericolatamente trasferisce gli impianti geometrici e la nitidezza cromatica dell'astrattismo su una serie di casse da imballaggio.
Il tempo costituisce il tema dei video di Silvia Cini ("Penelope Addio") e dei Suite-Case ("Suono giallo"): ridotto a frammento continuamente ripetuto nel primo caso; misurato da impercettibili scatti, sul ciglio di una strada, nel secondo.
La dimensione esistenziale è in primo piano nei lavori di Chantal Michel, tratti dalla serie "Die klinik" e di Churchill Makidida (una sequenza di interviste in cui diversi testimoni descrivono la controversa figura del padre dell'artista) così come nel video "Hotel Dubai", in cui Fabio Niccolini rievoca l'esperienza lancinante di una prolungata custodia nelle camere di sicurezza dell'aeroporto dell'Emirato.
Due posizioni antitetiche sulla comunicazione mediatica sono espresse, infine, da Cesare Bignotti, che aggredisce con i suoi graffiti un cartellone pubblicitario, e da Plamen Dejanoff, con la sua algida ricostruzione di un ambiente votato ai marchi ed alle griffes. Una contrapposizione fra marginalità e simulacro che esemplifica efficacemente la condizione dell'arte nel nostro tempo.
[Sandro Ricaldone, 6/7/2010]