COSTANTINI
Museo Luzzati
dal 22 settembre al 14 novembre 2010
"Che io ricordi non esiste una prima volta che io decidessi coscientemente di dedicarmi alle arti figurative", annota Flavio Costantini, in uno scritto autobiografico. Ma la sua vocazione inconsapevole nasce presto, nell'infanzia, con la pratica del disegno e la passione per le illustrazioni dei libri che ritagliava nel tentativo di animarle per riemergere di quando in quando, benché non assecondata dagli studi (frequenta l'Istituto Nautico e l'Accademia Navale), sino a consolidarsi definitivamente durante l'ultimo ingaggio a bordo di una nave petroliera.
E' il 1954. Costantini intraprende così a ventott'anni, "per una inveterata disubbidienza", la vita di pittore, con un gruppo di disegni dedicato all'opera di Kafka.
A questi fogli, minuziosamente istoriati con un tratto filiforme - in cui affiora, come nota in catalogo Matteo Fochessati, la suggestione della grafica di Ben Shahn - fa seguito la sequenza delle "Tauromachie" (1959-62) ispiratagli da un viaggio a Barcellona, dove la tecnica ad olio fa scaturire quei contorni marcati delle figure che caratterizzeranno la produzione successiva, mentre l'immagine fissa la geometria impeccabile dell'atto mortale.
Dalle "Tauromachie", appunto, muove il percorso della sua prima grande antologica genovese, ordinata negli spazi del Museo Luzzati a Porta Siberia, che prosegue - in un allestimento animato da grandi stendardi sospesi - con il ciclo che ha condotto l'autore all'affermazione in ambito internazionale: gli "Anarchici". Qui Costantini mette in scena con folgorante sintesi narrativa episodi drammatici della rivolta individualista contro l'oppressione sociale, a cavallo fra '800 e '900. Gli scorci, dapprima gremiti di personaggi e fortemente concitati, declinati in una vena popolaresca, alle soglie degli anni '70 approdano a situazioni più rarefatte, racchiuse spesso in stranianti prospettive appiattite.
Sull'affondamento del Titanic - assunto come emblema epocale della fallacia del progresso e delle lusinghe della modernità - s'impernia la più nota fra le serie create negli anni '80, nella quale si registra la scomparsa della figura umana, analogamente a quanto accade nelle contemporanee tavole di soggetto alchemico, portate da Arturo Schwarz alla Biennale di Venezia del 1986.
Figura che appena riemerge, come parvenza fantasmatica, annientata nella consistenza fisica dall'incombere della tragedia, in talune delle tempere del ciclo "Zar", avviato nel 1979 e ripreso negli anni '90, che evoca i luoghi della prigionia e della esecuzione della famiglia Romanov: una sorta di raggelato commento alla caduta dell'utopia rivoluzionaria compendiato nella frase posta in epigrafe al catalogo dove, ribaltando la celebre espressione di Goya, l'artista giunge ad affermare che non il sonno, ma "la veglia della ragione genera mostri", costellando la storia di atrocità.
A simili tematiche si legano anche i recenti lavori sul tema dell'assassinio di Marat, in cui affiora, rovesciata, l'eco del terrore anarchico, in atmosfere che la coloritura a pastello rende più spiccatamente vibratili.
A completare la ricostruzione dell'itinerario creativo di Costantini, viene esposta una selezione dei "ritratti-rebus", come li definiva Leonardo Sciascia, di scrittori e filosofi (da Socrate a Unamuno; da Kafka a Italo Calvino), ideati negli anni '90. All'insieme delle opere originali si affianca poi un vasto apparato di manifesti, libri illustrati, copertine, oggetti promozionali, da cui emerge l'ampiezza e la varietà del lavoro svolto dall'autore nel corso di più di un cinquantennio.
Nel segno dell'amicizia che per lunghissimo tempo ha unito Costantini a Emanuele Luzzati, la rassegna si chiude nelle sale delle Cannoniere con la realizzazione di un loro antico progetto, "Una notte all'opera", nel quale i ritratti di musicisti del primo sono accostati a bozzetti scenografici inediti del secondo. Un dialogo che nella sua giocosa leggerezza ci fa meglio comprendere come la composta perfezione e la tensione drammatica che pervade i lavori dell'artista si alimenti di un'inimitabile vena poetica che, come scriveva anni fa' Lara Vinca Masini, non è solo dolorosa e tragica, ma "di volta in volta, e allo stesso tempo, ironica, affettuosa".
[Sandro Ricaldone, 19/9/2010]