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    tr@ct - 29 agosto 2000

numero 5



INDICE:

GLI STRANI CONTI DEL SIGLO

CEAL FLOYER DA PINKSUMMER

CESAR DOMELA A LUGANO



GLI STRANI CONTI DEL SIGLO

Per la cronaca la questione del bilancio della mostra “El Siglo de los Genoveses” è ormai invecchiata. La conferenza stampa in cui è stato presentato risale infatti a fine luglio. I titoli apparsi sulla stampa locale parlano di “miracolo” e, in realtà, non sono ingiustificati. Centoventiseimila visitatori sono davvero tanti, anche per una mostra durata sette mesi. Molto meno credibili le analisi che sono state proposte intorno alla provenienza dei visitatori, alla composizione del pubblico ed alla valutazione dei benefici, in cui gli introiti degli organizzatori e le ricadute sulla città sono stranamente mescolate.

Per ciò che riguarda il primo aspetto, l’indagine commissionata dalla Società che gestisce Palazzo Ducale e dal Comune propone una ripartizione dei visitatori a un di presso paritetica fra residenti e non (questi ultimi sarebbero per il 14% liguri, per il 13% lombardi, per l’8% piemontesi, per il 3,5% stranieri e per il resto italiani di varia allocazione). Il visitatore tipo viene invece collocato in una fascia d’età sopra i 45 anni, pensionato, casalinga o impiegato. In proposito va rilevato che la ristrettezza del campione (0,82%) e soprattutto la sua intrinseca casualità consente deduzioni solo di larga massima. I dati sulla provenienza dei visitatori sembrano quindi più ipotetici che reali, salvo forse per ciò che attiene all’afflusso di stranieri.

E, quanto alla tipologia tracciata, si nota che non tiene conto dell’utenza scolastica, che pure deve aver rappresentato una quota non secondaria di presenze.

Ancor più vaga la base del computo dei benefici derivati dall’iniziativa, che sarebbero ascesi addirittura a 12,2 miliardi. A prescindere dalla confusione già rimarcata fra i soggetti destinatari dei benefici di cui si ragiona, discutibile appare l’inserimento in quest’ambito dell’importo (1,147 miliardi) delle retribuzioni corrisposte, sul presupposto non dimostrato che gli addetti non avrebbero svolto altra attività economica nel periodo di assunzione. A questa stregua, fra l’altro, le somme incassate con la vendita dei biglietti andrebbero considerate non un beneficio ma un costo, andando ad incidere sulle disponibilità dei fruitori. Del pari criticabile l’inclusione del “valore della comunicazione”  relativa alla mostra (azioni p.r., articoli di stampa, servizi televisivi stimate 1,874 miliardi), non assimilabile al valore di un marchio o di un avviamento aziendale ma soggetta a rapido decadimento.  Né poi si comprende in alcun modo su quali basi sia stato valutato l’“indotto turistico” (5,6 miliardi). Potrebbe esser stato maggiore o minore (soprattutto se, come appare probabile, la visita alla mostra non è stata la ragione determinante del soggiorno a Genova). In ogni caso i trionfali resoconti giornalistici non illustrano minimamente i parametri utilizzati.

Questa velleità di rivestire di risvolti economici un evento culturale, di farne un emblema della capacità di amministrare degli organi comunali e delle entità connesse è però in fin dei conti secondaria. Quel che importa è comprendere le ragioni di un successo indubitabile. Cosa non facile, visto che la mostra (vedi recensione) in sé stessa era di livello insoddisfacente, soffocata fra un allestimento retorico e la qualità non eccelsa della grande maggioranza dei pezzi esposti, certamente non adeguata agli standards  vigenti nell’arco di tempo corrispondente al “Siglo”.

Un primo blocco di ragioni riguarda il contenitore: Palazzo Ducale è vincente per la sua collocazione centrale e per l’accessibilità sia con i trasporti pubblici che con mezzi privati (vedremo cosa succederà con il nuovo piano del traffico), per la bellezza e la valenza storica dei suoi spazi. Altra circostanza influente, connessa all’attività del Ducale, è stata senz’altro la recente mostra di Van Dyck (questa sì di grande portata), che ha determinato nel pubblico una sorta di pregiudizio favorevole al nuovo evento. E - ancora – va rimarcato l’apporto dato dalla lunga durata, che ha consentito di ottimizzare le possibilità di accesso.

Il fatto, poi, che il baricentro dell’esposizione inclinasse su un versante storico ha rappresentato un dato relativamente nuovo nella situazione genovese, apprezzato anche per la maggiore accessibilità al pubblico del materiale esposto, godibile al di là di specifiche conoscenze artistiche. Né ha mancato di incidere, per i residenti, il risvolto localistico, un ambiguo orgoglio per l’esaltazione delle glorie patrie (talvolta stranamente identificate nelle più brucianti umiliazioni).

In gioco entra anche l’aspetto dimensionale, il gigantismo della mostra e la varietà dei pezzi, dalle palle di cannone ai ritratti dogali, dagli argenti agli arazzi. Sottolineato da un allestimento scenografico, con specchi e velluti profusi senza risparmio da Pier Luigi Pizzi, un maestro che si è fatto prendere la mano e ha portato la cornice a prevalere sulle opere e sulla struttura storica del palazzo, inseguendo attraverso l’eccesso una suggestione che non si è realizzata. Un allestimento che, azzardiamo, proprio per i suoi risvolti al limite del kitsch potrebbe esser stato una delle componenti del successo della manifestazione.

Da questa miscela di fattori, apprezzabili o meno, non sembra comunque si possa estrapolare una formula valida per il futuro. In parte per il fatto che la materia comincia a scarseggiare, dopo il tour de force delle rassegne dedicate a Genova Barocca, Puget, Strozzi, Van Dyck e, ovviamente, al Siglo (si è parlato di una nuova mostra su Rubens, ma poi?). E in parte perché le carte degli allestimenti e della storia locale, se giocate ripetutamente, finiranno con il risultare sempre meno incisive.

I programmi a venire contemplano mostre di opere di autori liguri dalle collezioni dell’Hermitage di Pietroburgo, un “Voyage en Italie” nella primavera 2001, in concomitanza con il G8. Per il prossimo novembre viene annunciata una rassegna intitolata “Seta e lusso nella Repubblica di Genova dal Rinascimento al Neoclassicismo”.  Iniziative che avranno tutte numerosi motivi di interesse ma che evidenziano più una prudente astuzia che qualche audacia nella programmazione. L’antico impasto di vizi e virtù ligustiche sembra salvo. Assai meno il rilancio di un autonomo ruolo culturale della città. Su questa linea, che taglia completamente fuori il contemporaneo, all’appuntamento con il 2004 (Genova capitale europea della cultura) si arriverà completamente sbilanciati e poco credibili. Rendere omaggio al passato ha senso in una prospettiva rivolta al futuro. Rinchiudersi fra Dogi e cantautori è un sintomo di claustrofilia.  Il flop delle celebrazioni per il cinquecentenario colombiano del 1992 non è stata lezione sufficiente?

 

Nota:

Dopo aver steso queste considerazioni leggiamo su Exibart: “El Siglo (De oro?). Luci e ombre nel calcolo ‘costi-benefici’ di una grande mostra” un articolo che sul punto trae – in via del tutto indipendente - conclusioni sostanzialmente analoghe alle nostre. Ci auguriamo che il moltiplicarsi delle opinioni dissenzienti valga ad indurre i responsabili a riflessioni più avvertite.


CEAL FLOYER APRE LA NUOVA STAGIONE DI PINKSUMMER

Prosegue senza soste l’attività di Pinksummer, lo spazio d’arte attivato lo scorso inverno da Antonella Berruti e Francesca Pennone al secondo piano di uno storico palazzo di Via Lomellini. Dopo l’accoppiata Muratami-Manetas, la performance di Carsten Nicolai e la personale di Christian Schmidt-Rasmussen, viene ora presentata una mostra di Ceal Floyer (nata a Karachi, in Pakistan, nel 1968, residente a Londra), la cui comparsa in Italia risale alla Biennale veneziana del 1995 (“General Release: Young British Artists at Scuola di San Pasquale”), seguita da altri eventi romani e in specie dalla personale alla Galleria Primo Piano (1998). L’artista ha partecipato nel 1998 alla XI Biennale di Sidney mentre nel 1999 la Kunsthalle di Berna le ha dedicato una rassegna. Suoi lavori sono inclusi nella mostra itinerante “Mirror’s Edge” curata da Okwui Enwezor (direttore della XI edizione di Documenta), visibile al Castello di Rivoli dal prossimo 4 ottobre.

“Il lavoro di Ceal Floyer” - ha scritto Marco Codognato – “verte sull'enigmatico e franco minimalismo tautologico del suo intervento e sul processo temporale di intendimento dello stesso da parte dello spettatore. Un processo determinato dalla estrema semplicità e praticità del suo procedere”.

L’artista sembra inaugurare una nuova forma di straniamento, costruendo opere di assoluta essenzialità ed eleganza in cui oggetti e gesti quotidiani divengono tramite di una riflessione sulla natura della percezione visiva.

Tipico in questo senso Light Bulb Wall (1996) in cui un faretto proietta in galleria la sua luce sullo spazio che normalmente sarebbe stato occupato da un quadro nel quale invece, grazie ad un sistema di ingrandimento compaiono gli elementi identificativi ed i dati tecnici dell’apparecchio.

Così come Monocrome Till Receipt (White) (1998) in cui Ceal Floyer destabilizza ironicamente un topos fondamentale del modernismo contemporaneo, dedicandogli lo scontrino di un supermercato in cui è documentato l’acquisto di biancheria rigorosamente bianca. O Bucket  (1999): un secchio nero disposto sul pavimento nel quale è nascosto un registratore che emette il suono prodotto da uno sgocciolio.

La mostra verrà inaugurata il 9 settembre alle 18 e rimarrà visibile sino al 24 Ottobre.
L'8 settembre alle 18 l'artista terrà una conferenza a Palazzo Ducale nei locali del Centro della Creatività.


CESAR DOMELA A LUGANO

Si inaugura il 15 settembre al Museo Cantonale d’Arte di Lugano un’ampia retrospettiva dedicata a Cesar Domela. L’esposizione ripercorre la sua complessa vicenda creativa dagli esordi (documentati da un paesaggio del 1922, di impianto cubista) all’adesione al Neoplasticismo; dalla creazione dei celebri Reliefs, con cui introduce la terza dimensione nel quadro, ai fotomontaggi.

La mostra è curata dal Direttore del Museo, Marco Franciolli, con i galleristi genovesi Alberto Ronchetti e Gianni Martini.

Catalogo Skira.



 

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Tr@ct è una lettera sulle arti a Genova, diffusa ogni mese da Sandro Ricaldone.
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