R.I.P. OR COMMUNITY WORK?
Non si può che concordare con Luca Borzani (assessore al
decentramento e alle politiche giovanili del Comune) quando afferma che Genova
è malata di nostalgia e di retorica. Che è una città che ancora non è arrivata
a pensarsi come tale, afflitta da un municipalismo interno decisamente miope
quando non revanscista. Più difficile è seguirlo nell’idea che manifestazioni
come “Arti Visive 3 - L’occhio in ascolto” possano rappresentare una forzatura
rispetto al tessuto culturale della città. Probabilmente i tassisti romani non
frequentano assiduamente il Palazzo delle Esposizioni. E così la maggior parte
dei genovesi non visiteranno le mostre allestite nel Sottoporticato di Palazzo
Ducale e nella Sala delle Grida della ex Borsa Valori, aperta ad una
manifestazione artistica dalla Camera di Commercio, con un significativo
trapasso dall’investimento speculativo all’estetico. Di qui a pensare che la
manifestazione che si inaugura oggi possa costituire una rottura e/o un punto
d’avvio di un percorso capace di condurre innovativamente al 2004, quando
Genova vestirà i panni di capitale europea della cultura, il tratto è lungo. Il
fatto che sia stato raggiunto uno standard sovranazionale è positivo ma non può
farci dimenticare che, per ora, l’aggancio è avvenuto in fascia bassa. Di qui
una certa libertà (che ha consentito di presentare un artista estraneo
all’omologazione dominante come Oscar Wiggli) ma un’autorevolezza limitata.
Al di là dell’episodio,
continuiamo a rimarcare come a Genova faccia difetto un forum, un luogo di
discussione e d’incontro. L’amministrazione segue vie proprie, il circuito
privato è frammentato all’estremo, i singoli operatori (artisti, critici e via
dicendo) si muovono in ordine sparso e quasi di riflesso. Per esempio: non
sarebbe stato disagevole fare de “L’occhio in ascolto” una manifestazione di
prima grandezza coinvolgendo appieno il Museo di Villa Croce (che ospita una
rassegna fotografica di Roberto Masotti, ma riserva lo spazio principale ad
altre iniziative) e un buon numero di gallerie cittadine, in analogia al
collegamento stabilito con lo Showproject Pinksummer.
E ancora: se è senz’altro da apprezzare la scelta di stabilire
sul tema del rapporto immagine/suono alcuni “parametri internazionali” (Fontenia,
Giovannelli, Mathis-Zwick, Wiggli) non sarebbe stato appropriato valorizzare
anche le esperienze – sicuramente di livello comparabile - di artisti genovesi
come Piergiorgio Colombara e Sonia Armaniaco?
La scelta, per quanto seccante
possa apparire, si pone tra l’instaurazione di un “community work” e il r.i.p.
(riposare in pace). “Think local, act local” è, anche nel tempo della
globalizzazione, un’opzione praticabile. Per poterla attivare, però, occorre
dismettere quella mentalità che Robert Putnam ha icasticamente definito con la
formula “bowling alone”. Non basterà,
ma trovare un campo dove giocare insieme potrebbe servire.
VIDEOSONORITA' INDIGENE
Da “Arti Visive 3 – L’occhio
in ascolto”, la rassegna-concorso organizzata per il Comune dal Centro della
Creatività sotto la direzione artistica di Viana Conti e Guido Festinese,
si ricava non soltanto il ragionamento svolto più sopra ma un panorama
essenziale della giovane artisticità genovese. Panorama con luci ed ombre. Non
al meglio autori come Daniele
De Batté (un’apparecchiatura sonora inscatolata in foggia vagamente
spaziale), Davide
Ragazzi (pannello con profilo di mosca, ronzio, e registrazioni sul mercato
dell’arte), Timothy
Pagnotta (videoinstallazione con lingue tagliate e cuochi truculenti). Idem
per Alessandro
Chiossone che traduce “La bella Gigugin” nell’immagine di un lavandino
colmo di stoviglie da lavare e per Alessandro
Lupi che rappresenta invece la figura di una donna incinta illuminando con
la luce di Wood un fascio di fili dipinti con colori fluorescenti mentre
nell’ambiente risuona un ritmo martellante. Decisamente più interessante Lucrezia
Salerno con immagini di mani rilevate con lo scanner in moto percussivo
associate a cadenze musicali conformi. Significativi, anche se basati su uno
schema costruttivo ormai abusato, gli esiti del trio Cipolli-Jasper-Teodorani
(videoproiezione del varo di una nave associata alla sigla di Carosello,
registrazioni di comunicazioni via radio ecc.). Stimolante “Orgonic Zone” di
Paola Grassi, una struttura d’impianto geometrico rivestita in tessuto, che
nasconde all’interno dispositivi, attivabili a pressione, per l’emissione di
immagini e suoni. Così come “Vuovolo” del gruppo “Codiceabarre”,
sorta di navicella-bozzolo per viaggiare nel silenzio.
Notevoli infine gli
allestimenti, curati da “Actiesgroep”,
gruppo di azione urbana, coordinato da Brunetto De Battè.
STRANIERI A GENOVA
Punteggiato di presenze
straniere, a Genova, l’avvio della nuova stagione espositiva. Oltre ai quattro
artisti, cui già s’è accennato, che definiscono i “parametri
internazionali” de “L’occhio in ascolto”, si registra – nell’ambito della
stessa iniziativa – una sezione dedicata, in funzione di uno scambio
transnazionale, con quattordici artisti berlinesi che fanno capo alla
Fondazione Tacheles ed alla Meinblau Galerie Projektraum.
Fra i lavori ospitati nella Sala
delle Grida dell’ex Borsa Valori appaiono rimarchevoli gli ambienti sonorizzati
con rumori quotidiani di Fly-Ralf
Menzel, l’installazione mobile di Markus
Krieger (una struttura di pali legati da bande elastiche, mossa
irregolarmente da un motore nascosto) come pure gli scenari speculari imbastiti
da Thilo
Hammermaister e l’allestimento interattivo di Armin
Ketter, “Morgens”, dove un video nascosto dietro lo specchio d’un bagno
sovrappone al volto del visitatore un’apparizione mostruosa.
Godibile anche la pittura in
progress di Brigitte
Malknecht, fatta di immagini che si intrecciano e si inseguono di foglio in
foglio, di tela in tela, secondo un processo che si vuole continuo e
inarrestabile come il fluire degli accadimenti mondani.
Della mostra di Ceal Floyer da Pinksummer
(che annuncia per il 29 ottobre una performance ed una installazione di
Giorgina Starr) si è detto nel numero scorso. A Villa Croce, fino a novembre, è
visibile una rassegna, “De
finibus terrae”, di Reiner Wittenborn,
promossa dal Goethe Institut Genua, cui la profondità dell’impegno politico ed
ecologico non riesce a trasmettere una vibrazione coinvolgente. Dall’iniziativa
del Goethe proviene anche la mostra di Maria
Theresia Litschauer “Nietzsche
in Italia. Testo-immagine-scrittura”, definita come un cross-over di arte e
filosofia, in corso da Leopardi/V-idea.
Dalla
Svizzera (in maggioranza da Thun) provengono, invece, gli artisti che
propongono nella sede temporanea di Rebecca Container a Palazzo Ferretto, sino
al 5 novembre, “Mare Nostrum”. Qui non convincono del tutto gli allestimenti di
Reto Leibundgut
(“Bulesumme”, mare increspato e barca realizzati con detriti in plastica), di Dominik Stauch
(“On stage”, pannelli in vetro con forme geometriche appoggiati alla parete),
di Paul Le Grand (“Trompe-l’oeil”, installazione di specchi a losanga, che
ripetono il disegno del pavimento e riflettono il soffitto) e di Roberto De
Luca (“Cartoline della memoria”). Apprezzabili invece gli esiti di Chantal Michel: una sequenza di tele,
incastonate nelle cornici vuote di una sala spogliata delle decorazioni
originarie, che sembrano fissare, in toni evanescenti, una performance
esaurita, il passaggio di una figura femminile (“La mattina successiva era
completamente disciolta”). E di Heinrich
Gartentor, con Mare Nostrum, un
ambiente sonorizzato con dodici differenti rumori legati al mare.
PINTAPIUMA BLIND SHOW
Blind Show nasce da un’idea di Giovanni Rizzoli e Claudio
Ruggieri: esporre la fotografia trovata.
Avendo Claudio Ruggieri trovato una macchina fotografica
circa un mese fa’ sulla riva dell’isola della Giudecca a Venezia, Giovanni
Rizzoli decide di mostrare le foto come opera artistica, quali esse fossero
dopo lo sviluppo del rullino, che include anche due fotografie (le ultime)
scattate da Claudio Ruggieri a Giovanni Rizzoli.
I due artisti decidono di esporre insieme nell’occasione
dell’ultima mostra della galleria Pintapiuma a Genova, per affermare il loro
sodalizio che dura dal 1987 e che sin riafferma con le mostre del 1990, del
1992 e del 1999.”
Si tratta, con tutta evidenza e come gli autori stessi
confermano, di un’operazione di natura concettuale. Che investe non tanto il
tema dell’indeterminazione, quanto l’uso di tecniche artistiche (come appunto
la fotografia) in funzione di una pretesa attualità che si sostanzia di
implicazioni commerciali. E la costruzione di scenari artistici artificiali,
cui non corrispondono valori effettivi.
Sovente le guerre non si dichiarano ma vengono innescate
da scaramucce in apparenza marginali. E il potere di figure a lungo dominanti
come Celant può anche risultare fondato su niente altro che un’abitudine
consunta. Di certo sono fragili le radici della crescita esponenziale di
artisti come Maurizio Cattelan e Vanessa Beecroft, che si dice in realtà
imposta da sommovimenti verificatisi nella scena newyorkese, segnatamente dalla
presa di potere di Jeffrey Deitch, inventore negli anni ’90 del trend
post-human e banditore oggi del pop-verismo di “Street Market”.
La mostra segna la chiusura della sede genovese di
Pintapiuma, succeduta alla ormai storica Pinta da due anni, dopo le esperienze
espositive milanesi di Claudio Ruggieri, ora in procinto di rinnovarsi.
All’attivo più di settanta mostre, molte delle quali straordinarie (citiamo
soltanto quelle di Not Vital, Peter Nagy, Emil Lukas, Enrico Barbera, Giovanni
Rizzoli, Sossella e Formento, Luca Vitone, Roberto Costantino, Chiara Dynys,
Daniel Rothbart, Alighiero e Boetti, Lucio Pozzi) di cui solo alcuni
collezionisti sembrano aver preso debita nota.
Il quaderno del Museo di Villa Croce dedicato alle gallerie genovesi
pubblicato (opiniamo, dato che il colophon non ne fa menzione) nel 1995, e
finanziato con fondi pubblici, non la menzionava neppure.
RISORSE: FONDI & COLLEZIONI
Tre note a proposito di risorse cittadine.
- Paolo Minetti accennava qualche giorno fa’, in una sede
pubblica, al destino ancora non definito della Collezione Wolfson.
L’affidamento alla Fondazione Regionale Colombo (di cui Minetti è
vice-presidente) non sembra aver quindi risolto i problemi registrati in
precedenza. Al patrimonio della
Collezione attingono altre città, come Parma (con mostre come “La visione del
prisma” e “Depero e Rubino” tenute a Palazzo Pigorini tra fine 1999 e inizio
2000), mentre rimane inaccessibile ai cittadini.
- Una visita alla grande
retrospettiva di Cesar Domela, allestita dal Museo cantonale di Lugano, mostra
come larga parte dei materiali (in specie fotografie, collages, bozzetti)
provenga dal Fondo Domela raccolto dai galleristi genovesi Alberto Ronchetti e
Gianni Martini. Non sarebbe stato
logico aspettarsi che una rassegna pubblica di questo genere fosse inaugurata
qui? O, quanto meno, cercare di
predisporne il trasferimento?
- La Fondazione Eugenio
Guglielminetti di Asti ha organizzato presso il Centro di Cultura e d’Arte
Luigi Bosca una mostra sull’opera di Gianni Polidori, scenografo e pittore, la
cui vicenda biografica si lega strettamente alla cultura teatrale (e non solo)
della città. I lavori in mostra fanno parte della donazione dell’artista al
Museo Biblioteca dell’Attore. Canelli, fortunatamente, è più vicina della
Svizzera.
ALLO I.U.M. LA CASA DELL'ARTE
L’Istituto delle Utopie e delle
Merci, animato da Paolo Minetti e Vittorio Dapelo, ce l’ha fatta. Ha ottenuto
dal Comune l’incarico di allestire la Casa dell’Arte in Darsena. Il vero banco
di prova consisterà però nel mobilitare le risorse indispensabili per
consentirne il funzionamento. Qualche decina di collezionisti e di esponenti
della cultura ha già aderito all’iniziativa. Ma non crediamo che il problema
del finanziamento possa venir risolto strutturalmente attraverso i contributi
dei privati. Né sembra, al momento, che si profili la possibilità di legami con
sponsors istituzionali. La Fondazione Carige, che sarebbe stato il candidato
più naturale, si è impegnata nel finanziamento di importanti restauri (Palazzo
Doria Spinola, la Chiesa del Gesù e Palazzo Reale, in aggiunta agli interventi
già previsti) ed ha avviato un programma di avvicinamento al 2004 che prevede,
di anno in anno, iniziative dedicate al teatro, all’arte, alla musica ecc. E la
decisione del Comune di salvare il Museo di Villa Croce, di cui la Società di
consulenza Roland Berger aveva previsto la chiusura, rende le cose ancor più
complicate.
UN LOGO DA BUTTARE
Quale logo scegliere per il 2004? Non sappiamo da chi
siano stati elaborati i due simboli proposti (visionabili nella homepage del Il Secolo XIX). Posti di fronte a questa
alternativa, propendiamo per una terza soluzione: scartarli entrambi.
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