|
Franco Bargiggia "Materno abbraccio" 1932 circa
Giovanni Battista Rilla "Madre col bambino"
Roberto Anfossi "Aroscia" 2000
Attilio Antibo "Laieula" 1980
Giancarlo Bargoni "Scandulai" 2000
Aurelio Caminati e Giacomo Lusso "Giassi" 2000
Link:
NIKI DE SAINT PHALLE AL MAMAC DI NIZZA
|
|
LETTERA DAL PONENTE/3 (Artemisia, Bargiggia e Rilla, il Museo Rossi, le maschere di Ubaga)
di Alessandro Giacobbe
E' singolare la dimensione artistica che si sta creando a Ponente. E'una realtà
che funziona "a macchia di leopardo", poco al di là della poderosa macchina espositivo-creativa
del contesto legato alla Costa Azzurra.
Vi sono gruppi di artisti in continua comunicazione, anche se spesso troppo chiusi, poche gallerie
illuminate, talora sconosciute ai più e, finalmente, mostre la cui apertura è fortemente legata alla
dimensione dei siti espositivi.
Di fronte a realtà puramente commerciali, in attesa di conoscere le prossime mosse di Beniamino
a Bordighera o della galleria Civiero a Diano Castello, piace confrontare tre situazioni del tutto
diverse, anche allo scopo di presentare comunque la varietà di proposte che può contraddistinguere
la dimensione locale.
Si parla di trascorsi, di bilanci e di rilanci, si medita sul già fatto e si propone un credibile futuro.
Possiamo cominciare da Artemisia. Una realtà minimale, una piccola factory legata ad un gruppo di artisti
che ruota in piena indipendenza attorno all'ambito formativo dell'Accademia di Belle Arti di San Remo.
Specializzati nel campo dell'incisione, dunque della stampa originale, senza intermediazioni tecnologiche
di sorta. Il mondo di Artemisia, nel centro storico di Santo Stefano al Mare, ruota attorno ad un torchio.
Si produce, lì dentro. Si crea, soprattutto si sperimenta, ad ogni giro di manovella che muove quel
cilindro troneggiante nel "retrobottega"…odore di inchiostri e tensioni delle matrici completano il quadro.
Artemisia è anche un luogo espositivo. Si apre con cadenza sicura, non solo per mettere in mostra le
creazioni di ogni partecipante all'impresa, ma anche per piccole, rarefatte mostre. L'ultima è stata
dedicata a Bernardo Asplanato. A suo modo, già nume tutelare dell'insegnamento di pittura in Accademia.
"Nume tutelare"…già, una definizione che rifiuterebbe, sorridendo sotto gli occhiali, il buon Asplanato.
Il quale ha portato al pubblico una scelta schiera di esperienze grafiche, legata ad una dimensione
complessivamente figurativa, ma gravida di ricerche sul rapporto fra luci ed ombre, fra chiari e scuri,
fino allo studio di volumetrie condotto fra esperienza e tentativo empirico.
C'è da dire che di Asplanato si è accorta anche l'Amministrazione della Sua città, che fa bella mostra
di sé ordinando all'artista vedute cittadine per i regali di circostanza. Per quanto la "commissione"
possa vincolare in qualche modo l'artista ad una realizzazione di facile comprensione, fa comunque
piacere che vi sia talvolta un pizzico di "nuovo Rinascimento" in sedi sovente troppo impegnate in
polemiche da cortile tra spazzatura e viabilità, se non altro per la litigiosità mal repressa di troppi
cittadini perennemente scontenti.
Artemisia sta preparando altro, per un futuro relativamente immediato. Mercé gli studi della
sua compartecipante, Caterina Legato, autrice di una tesi di laurea sulla storia della recente
vicenda dell'incisione ligure, essendo lei pure notevole giovane incisore, si andrà ad assistere
ad un confronto ravvicinato fra i protagonisti della stampa d'autore nell'estremo Ponente ligure:
Ligustro ed Enzo Maiolino sono i prossimi indiziati per una delle apprezzate presentazioni
complessive.
Si parlava di cittadini perennemente scontenti…non so se a San Remo i cittadini si accorgono dello
stato dei Musei locali. Chissà se le mostre periodicamente allestite nel Museo Civico giovano ad
alcune inevitabili considerazioni.
E' vero, si sta costruendo il nuovo palazzo congressuale, su di una sede precedentemente destinata
all'araba contrattazione del prodotto floricolo. Si parla di un futuro "museo della canzone" e di
spazi destinati ad "importanti mostre internazionali". Chissà. Sembra strano che Vi possa essere
all'interno di quello spazio così tanta disponibilità in termini di metri quadrati.
In ogni caso è necessario accontentarsi ora di quello che c'è. Pazienza se la pinacoteca Rambaldi è
aperta solo un giorno alla settimana o poco più, nonostante l'impegno dello scarno personale, sempre
disponibile ad una apertura straordinaria a richiesta. Pazienza se le mostre temporanee, meritevoli
sovente di specifica attenzione, comportano lo smontaggio dell'esposizione permanente dei lasciti
comunali. Considerando che non esiste un vero e proprio deposito climatizzato, non c'è da stare allegri.
Peraltro, vale la pena di concentrarci sulla mostra recentemente in atto (Museo Civico di San Remo,
dal 30 marzo al 12 maggio, inutile cercare il sito ufficiale…). Due artisti a confronto,
Franco Bargiggia (1888-1966) e Giovanni Battista Rilla (1903-1991). In fondo, due emblemi di
un'epoca recente, che traguarda la seconda guerra mondiale per approdare ad esiti anche assai
vicini a noi, soprattutto con il Rilla. Si tratta di personalità ovviamente diverse, avvicinate
per un motivo oggettivo, in primo luogo, essendo entrambi scultori. Ed è senza dubbio motivo di
interesse che si ponga attenzione alla scultura, dimensione sovente negletta.
La mostra è un ulteriore episodio del serrato percorso di ri-scoperta delle personalità artistiche
locali, che, a giudicare dalla introduzione critica di Leonardo Lagorio, non dovrebbe essere certamente
l'ultimo.
Il contesto della mostra si è peraltro arricchito pure di un'iniziativa non consueta, con l'acquisto
di un'opera di Bargiggia, una statua di notevoli dimensioni definita Preghiera nel Vespro, ben
inserita nel contesto produttivo dell'autore. La circostanza non è consueta in rapporto al fatto
che l'acquisto di opere d'arte non è prassi comune delle Amministrazioni locali. I quotidiani locali
hanno riportato la cifra di 90 milioni delle vecchie lire per l'acquisizione dell'opera. Indubbiamente,
con le possibilità economiche del Comune di San Remo, c'è spazio per queste iniziative. Altre situazioni
potrebbero essere quanto mai sensibili, ad esempio per entrare in possesso di ulteriori documenti
figurativi legati alla realtà storica locale. Appare però altrettanto, se non più impellente,
la defizione di un sistema museale che sia degno di questo nome, in rapporto a spazi, aperture,
servizi ed accessibilità. Si tratta di un discorso già accennato altre volte e bisognoso di uno
specifico approfondimento.
Infatti, ad ogni occasione di acquisto effettivo o possibile, il rovescio della medaglia è la
difficoltà emergente in rapporto agli spazi espositivi. Della serie, "viva la statua nuova, ma dove
la mettiamo, dove la valorizziamo, dove può darci emozioni?"
Venendo al nocciolo dell'esposizione di opere di Bargiggia e Rilla, financo eccessivamente ricca di
presenze, ma alquanto completa, si può porre soprattutto in rilievo la definizione di un percorso
creativo che traguarda il Novecento e le vicende cittadine fino ai rapporti con figure quanto mai
attive. Il coinvolgimento di Roberto Anfossi nella preparazione espositiva non è casuale, essendo
stato legato a Rilla durante le prime esperienze espositive pubbliche.
La dimensione formativa tanto di Bargiggia quanto di Rilla non è sanremese, né, tantomeno, ligure.
San Remo funge così, fra le due guerre mondiali, nel momento di esordio definito dei due, da
collettore di esperienze artistiche. Ne consegue anche la possibilità di vedere l'ambito del
Ponente ligure come laboratorio di confronto, dovendosi indagare anche altre significative
presenze creative fra XIX e XX secolo.
Dalla realtà lombarda di Bargiggia a quella francese di Rilla, si palesano immediatamente i
caratteri specifici di ciascuno, con uno sventagliante percorso evolutivo, più coerente e severo
per Bargiggia, più curioso e variato in Rilla.
Va detto che si affiancano, per entrambi, realizzazioni scultoree nonché pittoriche. E che
entrambi hanno dovuto fare i conti con un particolare clima artistico nel Ventennio, che aveva
in San Remo un fulcro specifico, dovuto ad esposizioni biennali di tutte le Arti, vissute fra
1935 e 1940.
Si tratta in ogni caso di artisti completi, al di là di quelle che potevano essere le suggestioni
del momento. Dove un Bargiggia fa sua l'immagine del Legionario in partenza per l'Africa,
particolarmente apprezzato dai critici di regime, per poi cogliere in modo penetrante il dramma
dei bambini morenti in un qualsiasi lager tedesco.
Sono peraltro le realizzazioni più nervose e biomorfiche di Bargiggia, in linea con alcuni
esiti pittorici e bozzettistici, che più si avvertono vive e moderne, in linea con determinate
espressioni creative di ambito europeo. Sembrano produzioni rapsodiche, bisognose sicuramente
di approfondimento di ricerca, forse ben più delle mature, se non ripetitive ed allineate,
realizzazioni.
Di Rilla, invece, si possono segnalare alcuni penetranti dipinti giovanili e le vitali xilografie
più vicine a noi. Queste ultime sono incisive visioni del centro storico di San Remo, ancora lungi
dall'essere pienamente recuperato, ove le presenze del passato sono commentate da motorini e
imbarazzi di ogni tipo. Ne consegue un'immagine del vissuto quotidiano, nel quale sembrano riecheggiare
le voci delle donne sugli scalini, fra torme di bambini vocianti.
Di fronte ad un tentativo così complesso di porre a confronto due artisti contemporanei, in un
contesto museale non ottimale, piace invece ricordare lo sforzo in fieri del Museo Civico Gerolamo
Rossi di Ventimiglia, situato nel forte dell'Annunziata. Posizione invidiabile a picco sul mare
e qualità della proposta didattico-scientifica, unita ad alcune indubbie emergenze eccezionali delle
collezioni, fanno di questo museo una esposizione leader nel panorama regionale.
La raccolta nasce dall'incontro dei materiali ritrovati nell'abitato romano di Albintimilium alle
foci del Nervia con quanto proveniente da alcune raccolte private locali, storicizzate sul territorio,
potendo così fornire alcuni percorsi di ricerca molto attraenti nel confronto tra le realtà storiche
di età romana fra diverse regioni, dalla Liguria all'Italia centrale.
Di assoluto spicco appaiono le collezioni statuarie ed epigrafiche, nonché la sala dei vetri,
con la magnifica coppa decorata da un ittiocentauro, la cui nuova collocazione è formidabile, con
la luce marina che la traguarda, filtrata attraverso le finestre rivolte al mare.
Va detto che il museo è visitabile comunque anche se l'allestimento di alcune nuove sale è in
fase di conduzione: un motivo in più per visitare più volte una esposizione assistita da sempre
nuovi supporti didattici, con la possibilità di avvalersi di alcuni sensazionali momenti, quali
la ricostruzione della "strada dei sepolcri" finora visualizzabile solamente in base alla
testimonianza scritta di Gerolamo Rossi, studioso ventimigliese attivo fra Ottocento e Novecento.
Concludiamo ancora con un'esperienza permanente. Si tratta di una vicenda che favorisce finalmente
l'attenzione per una Liguria interna, arcaica e lontana dal moderno affaccendarsi lungo le
congestionate vie litoranee. Si va in valle Arroscia, trovando una delle piccole capitali
dell'entroterra del Ponente ligure, Pieve di Teco.
L'iniziativa è della locale comunità montana. Il progetto è, nel suo complesso, ambizioso,
ma ricco di specifici risvolti.
Sicuramente sarà necessario tornare sull'argomento, vista la ricchezza dei riferimenti e la
sovrapposizione delle tematiche individuate dall'animatore principale dell'iniziativa, Franco
Dante Tiglio.
Quest'ultimo è originario di Ubaga. E Ubaga è un minuscolo paese, pressoché dimenticato, lungo
la sponda destra della valle Arroscia, vicino ad altri centri pure defilati. Ubaga: il nome dice
tutto, nella sintesi dialettale. Luogo oscuro, non baciato dal sole, selvatico, difficilmente
coltivabile ed abitabile. Qui, nella visione di Tiglio, si può entrare in contatto con le più
radicate e multiformi realtà immateriali che costituiscono l'ethnos ligure, in un gioco di rimandi
fra la religiosità arcaica, il culto e la presenza delle divinità rurali e naturali, la moderna
dimensione religiosa ed i caratteri delle persone, definite in una caratteristica galleria di tipi
fissi. Soprattutto per chi vive o ha vissuto in un paese ligure dell'entroterra, questi ultimi
sono figure pressoché universali, facilmente conosciute in altre non mentite spoglie.
Nell'intuizione di Tiglio, ogni immagine immateriale, ogni realtà, ogni personaggio può essere
rappresentato da una "maschera"…che talora diventa complessa quanto pregnante installazione.
Sorvolando colpevolmente sul significato e la portata dell'elemento "maschera", solo per una
questione di incisività, va detto che il progetto ha coinvolto un novero considerevole di autori,
mettendo a confronto personalità affermate con altre indubbiamente innovative.
Alcuni temi o motivi sono stati poi interpretati più di una volta, creando così una produttiva
forma di confronto fra diverse posizioni creative. Ogni "maschera" ha un nome, tratto
dall'espressivo ligure arcaico dell'entroterra, mai pronunciabile nel modo appropriato, sovente
avvicinato a fonetiche extraliguri, magari celtiche.
A questo punto si potrebbe procedere con un mero elenco di situazioni. Potremmo anche fare un
elenco dei protagonisti: Attilio Antibo, Enrico Baj, Ugo Nespolo, il sanremese Roberto Anfossi,
Renata Boero, Aurelio Caminati, Emanuele Luzzati, Milena Milani, Franco Repetto, Ernesto Treccani,
Pino Spagnulo … ma sono veramente troppi.
Sicuramente si ha torto, nel non ricordare tutti gli altri…anche perché è la complessità dell'affresco
mitomodernista, del paesaggio ideale, il carattere determinante dell'iniziativa.
C'è un luogo espositivo, senza dimenticare che molte fra queste "maschere" possono essere coinvolte
in un rituale cinetico e spettacolare. Il sito individuato è la tardomedievale chiesa della Madonna
della Ripa. Un luogo sacro che è all'origine stessa dell'insediamento di Pieve di Teco. L'unica
problematica aperta è proprio quella del ruolo di questo "contenitore", affiancato all'oratorio
"segreto" dell'Assunta e ora abitato dalla totalizzante presenza delle maschere…le quali dialogano
con piccoli cicli dipinti e pietre scolpite medievali. Sicuramente potrà avere un ruolo decisivo
la realtà gestionale, che è a carico della Comunità Montana dell'Olivo, la quale, per i momenti
di maggiore impegno, si è rivolta alla competenza della cooperativa "Liguria da Scoprire", composta
da specialisti della valorizzazione territoriale. Ne consegue che, almeno al sabato ed alla domenica,
si potrà disporre di una lettura efficace dell'intera realtà espositiva.
| |