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Carlo Merello, Tipoide



















































































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Dibattito
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Carlo Merello
In margine alla mostra "Arti&Architettura 1900-2000"

PREMESSA
Osservazioni sul presente

Esistono parole chiave che ben si prestano a definire simbolicamente periodi della nostra storia. Oggi la parola che meglio sintetizza la situazione corrente è "complessità" [….]. Il nostro mondo, i suoi sistemi di funzionalità e autorappresentazione sono "complessi" e altrettanto appare la fenomenologia del progetto in architettura. Voglio dire che oggi a me sembra che, nonostante la informatizzazione sempre più accentuata del processo progettuale, (il che significa velocità, omologazione dei modelli e dei sistemi, economicità e ottimizzazione ecc..) si aprano spazi, al suo interno, alla creatività "a-funzionale" e di conseguenza intenzioni "artistiche" tendenti a rapportarsi operativamente alla produzione delle arti visive contemporanee. Può essere che il fenomeno avvenga in senso opposto, ovvero che il panorama delle arti visive sia talmente vasto e "onnicomprensivo" da comprendere (fagocitare?) certi aspetti della "visività" del prodotto architettonico: ma il risultato non cambia. Per certi aspetti ciò è avvenuto anche in passato: sappiamo che influenze trasversali (interdisciplinari si diceva) sono sempre esistite ma oggi, credo, ci siano condizioni diverse, diciamo complicanze, che portano ad una lettura meno automatica del fatto. Se noi analizziamo gli aspetti significativi delle interferenze tra arti visive, architettura, scultura, musica ecc... nella storia recente, evidenziamo aspetti della contaminazione scontati, anche perché la definizione di queste discipline è obsoleta; ma se pensiamo ad ogni singolo argomento come a qualcosa di meno determinato, di anomalo o corrotto da aspetti non codificati, allora le interferenze diventano complessità non definibili secondo i parametri consueti. Cos'è l'ambiente?: scultura!, architettura!, decorazione!; il progetto architettonico, in quanto progetto, può essere considerato arte concettuale?; l'installazione è scultura o arte del paesaggio? o scenografia?, è disegno anche il dischetto del computer che memorizza un progetto? e il plastico, la maquette, può equipararsi ad un oggetto artistico autonomo, al di là del suo significato di modello in scala?. Come si può parlare ancora di rapporto tra scultura e architettura quando la scultura può essere una camera vuota e l'architettura un megabinocolo? E' sempre più arduo pensare a categorie "espressive" identificanti modalità e funzioni [….]. E ciò comporta anche una difficoltà nell'individuare ruoli precisi specialmente nell'ambito dell'arte visiva; ruoli e funzioni non espressi dalle cosiddette arti applicate; probabilmente questo dipende anche dal fatto che l'attuale società non si autorappresenta mediante l'arte bensì mediante la tecnologia. […..]. Credo sia comunque arduo ma indispensabile cercare all'interno delle suddette interferenze, spazi definibili e intenzioni più rispondenti alle questioni della contemporaneità multivisiva e multisignificante.

Genova, Febbraio 1995
(Da CASAmenti, Catalogo mostra personale, Albisola 1998)

LA QUESTIONE

Contaminazione: artificio consistente nella fusione di elementi di diversa provenienza nella composizione di un'opera letteraria. (G.Devoto, G.C. Oli, Vocabolario della lingua italiana, Ed.Le Monnier, Fi. 1979). Oggi potremmo associare questa definizione ad un'opera artistica in generale; il significato del termine non cambia. Il senso della contaminazione nell'arte è quindi fondere, intenzionalmente, elementi o parti di natura diversa per ottenere un ibrido artistico. In ciò non mi sembra di scorgere alcunché di nuovo: l'opera d'arte, di qualsiasi epoca e/o latitudine, è sempre nata dalla "fusione" di elementi appartenenti a nature diverse, siano esse forme appartenenti alla vita o all'arte medesima. Ma l'ibrido neonato ha sempre avuto una sua 'paternità', un codice di appartenenza all'ente che ha dato inizio alla sua procreazione. Melville nel suo Moby Dick ha descritto la lavorazione della balena con la stessa precisione di un manuale tecnico; evidentemente si è documentato molto bene sull'argomento, ma sappiamo bene che quello è un signor romanzo, anche se 'contaminato' da dati di carattere tecnico, e non un manuale per la lavorazione e conservazione della balena del secolo scorso. In Der Golem film espressionista tedesco degli anni Venti, diretto da Carl Boese, si è affascinati dalla costruzione degli interni di case 'improbabili': caverne organiche collegate da passaggi che ricordano più budella che corridoi (l'interno della casa visto come l'interno dell'uomo!). Ma Der Golem è e rimane un 'film', un racconto per immagini e parole, non un trattato di architettura espressionista o un saggio sulla successiva architettura organica. Con ciò vorrei dire che il concetto di contaminazione nell'opera d'arte nasce e si concreta, è possibile, esiste ed è indispensabile alla natura mobile e fagocitante dell'espressività creativa se la struttura intima, l'identità dell'ente che la promuove rimane integra, definibile, codificabile. Allora si può parlare con correttezza di scambi tra linguaggi e/o tra forme espressive diverse. Ovvero se questa diversità è riconoscibile, se esistono i soggetti diversi, può esistere la contaminazione tra essi; ma se i soggetti agenti sono gli ibridi stessi allora diventa difficile parlare di contaminazione. L'ibrido nasce da due entità ben distinte e identificate: il mulo è un ibrido che nasce da un cavallo e un'asina, l'unione di due muli non da origine a nulla! Ibridismo e contaminazione sono concetti usati dalla critica d'arte in maniera proporzionalmente crescente alla perdita di senso del concetto di "disciplina" e di "mestiere" nel fare arte; fatti che hanno avuto come prima conseguenza la perdita di identità dell'oggetto artistico.

IL PROGETTO

"Architettura visuale" è una formula letteraria che si può usare per indicare una ricerca che comprenda sia i valori culturali dell'architettura sia quelli rappresentativi della visualità artistica. In effetti è dato per scontato che esista un'architettura disegnata, o meglio, un disegno di architettura funzionale al progetto, che "spiega" sul tavolo le sue caratteristiche per poi poterlo costruire, è meno scontato che tale disegno possa avere valenze artistiche; ciò proprio per la sua dipendenza funzionale al progetto. Si tratta di un disegno ( disegno inteso in senso lato, aperto a tutte le tecniche di visualizzazione) che si potrebbe definire "coatto", monosignificante perché tale è il suo uso (come parte integrante del progetto architettonico). Ben diverso quindi da un'idea di proposizione artistica, la quale non ha come scopo la messa in scena di un'idea univoca, monosignificante, bensì la presentazione di un simbolo, di un segno creativo che interagisca con lo spettatore/fruitore dell'opera, il quale quindi ne percepisce il senso e il significato all'interno di una molteplicità di sensi e significati legati alla propria cultura. Molteplicità di sensi e significati comunque tutti validi in sé, tutti giustificabili al di qua, ovviamente, di un senso comune , "storico". Nessuno nega che all'interno della rappresentazione architettonica, possa esistere una qualità, un valore tecnico, una bravura esecutiva, una "bellezza" del segno o immagine usata, così come nessuno nega che lo spazio e il corpo dell'architettura possiedano "valori plastici" (volendo, anche un mattone possiede ' valori plastici ' ) ma ciò che differenzia tutto ciò dal segno "artistico", dalla dimensione dell'arte visiva è una linea discriminante essenziale: il fine, la motivazione. Una casa è costruita per essere abitata, la sua funzione è quella!, poi si può considerare bella o brutta, interessante, innovativa, ben fatta o mal costruita ma la casa è prima di tutto una abitazione, ovvero ha una funzione ben definita che le da un senso, una identità. La tavola architettonica, o il modello plastico, acquisiscono significato in previsione della materializzazione di ciò che raccontano, pur potendo contenere in loro qualità 'altre', come dire, un plusvalore "artistico". Consideriamo il particolare di una struttura portante o un segmento di un infisso costruito secondo paradigmi non standardizzati: se noi li separiamo dal loro insieme, proprio per la specificità della loro forma, possono senz'altro acquisire un senso "artistico", ma questo senso gli si riconosce proprio perché sono elementi architettonici 'decontestualizzati'; se tali elementi fossero nati come oggetti artistici perderebbero senz'altro l'aura che li sostiene!, apparirebbero molto probabilmente come esperienze datate della ricerca scultorea storica. A questo proposito appare evidente che ciò che si voleva dato per morto: le categorie della critica d'arte accademica, diventa il sostegno teorico per dare validità a oggetti "ibridi" e/o contaminati! E' invece plausibile pensare che esista un' area grigia , una terra di mezzo dove la visualità architettonica acquisisca sostanza, corpo, autonomia di senso e linguaggio. Con ciò intendo dire che possa esistere una linea di ricerca mediana tra la corporeità dell'architettura e le proposizioni dell'arte visiva che assuma le caratteristiche di entrambe pur appartenendo allo statuto e ai valori che storicamente hanno definito arte figurativa, iconica o aniconica, che si voglia intendere. Arriviamo dunque a:

ARTI / ARCHITETTURA = ? (ibrido)

Il progetto della mostra, secondo il suo curatore, era quello, in sintesi, di evidenziare l'aspetto della visualità artistica all'interno del prodotto architettura. Ho immaginato che con ciò si volesse indagare l'area della contaminazione tra i due "sistemi creativi"; ovvero, conseguentemente a quanto argomentato sopra, mi sarei aspettato di vedere esposto materiale prodotto dal risultato del rapporto arti/architettura: ibridi d'autore equivalenti, tanto per fare un esempio notevole, alla MERZBAU di Kurt Merz Schwitters. Invece ho notato che la megamostra di G.C., imponente per la quantità e qualità dei lavori esposti, poneva l'attenzione più sulla prima parte del rapporto Arti/Architettura che non sulla sua soluzione ( o risultato). Ciò ha significato, a mio parere, vedere molta architettura e molta arte visiva e lasciare al visitatore il compito di trovare gli elementi di "interferenza" tra le due aree. Certamente in alcuni casi, penso al lavoro di Le Corbusier o dei Costruttivisti sovietici, il compito non era del tutto ingrato perché ci trovavamo innanzi ad esempi evidenti e dichiarati di tale interferenza. Una lettura in tal senso del progetto mostra mi è stata poi confermata dalla recensione di Renato Barilli apparsa sull'Unità del 31/10/04, laddove il critico si lancia in un lamento sul mancato dialogo tra i rappresentati architetti Sottsass e Mendini e gli "equivalenti" artistici quali J. Koons e Steinbach. Evidentemente Barilli il significato del concetto di "ibrido" proprio non lo ha preso in considerazione e ha dato per scontato che indagare sui rapporti tra arte visiva e architettura significhi, nell'allestimento di una mostra, collocare in aree temporali e culturali connotate il lavoro degli architetti e quello degli artisti e lasciare agli osservatori trarre le conseguenze di tale confronto. In un dibattito pubblico, a mostra conclusa, G. Celant ha affermato, tra l'altro, di essere uno storico dell'arte che si pone il compito di osservare ciò che avviene nella realtà dei fenomeni artistici e, nel caso presente, architettonici; trarre da questa realtà gli elementi di novità di tali processi per proporli nelle sue esposizioni. Quale storico dell'arte, l'elemento di novità nell'architettura lo individua ovviamente nell'aspetto più "visivo" ovvero sulla "pelle" dell'edificio, sulla superficie, sull' involucro, che, a suo parere, (secondo la sua esperienza personale) oggi molti architetti tenderebbero a slegare dalla funzione e dall'organizzazione degli spazi interni. Esempio eclatante, citato a questo proposito, il museo Guggenaim di Bilbao, realizzato dall'architetto americano Frank Ghery . Al di là della legittimità di queste osservazioni, naturalmente non in discussione, a me sembra che una lettura dell'architettura, se vogliamo, del monumento, parziale e di superficie sia limitativa rispetto al significato, ai contenuti e alle problematiche del progetto architettonico, prima ancora che alla sua realizzazione pratica, ovvero al cantiere e alla costruzione. Mi sembra una concezione piuttosto letteraria pensare al progetto architettonico come ad un insieme di parti distinte e disarticolate anche se, oggi, come afferma l'architetto Gregotti " Questo è certamente il problema che almeno l'architettura deve affrontare: uscire dalla ubriacatura del tutto è possibile, che si è aperta con la crisi del progetto moderno, che ha preso in pochi anni molte convulsioni diverse (post-moderno, decostruttivismo, zoomorfismo, virtualismo, ecc…) senza meditare sui compiti e sulla ontologia stessa della nostra disciplina, sulle sue responsabilità collettive e sulle conseguenze di una deregolazione senza fondamenti e prospettive…." Rilevare esperienze visive o plastiche nella forma o nella superficie di un edificio senza considerarne la sua funzione è come scorgere rapporti con l'architettura nella pittura di Sironi unicamente perché ha dipinto paesaggi urbani. Periferie, gasometri, macchine o corpi umani quelli di Sironi sono valori pittorici e l'architettura, in questo caso, è soltanto un pretesto formale. Ecco, direi che questa mostra, ancorché grandiosa per la mole di opere esposte, e forse per questa ragione, non sia riuscita a far emergere con chiarezza il nucleo centrale del discorso sul rapporto tra le arti e l'architettura: forse perché ha guardato l'arte con l'occhio dell'architetto e l'architettura con l'occhio dell'artista. Io credo che l'aspetto più interessante delle "sinergie" tra arte visiva e architettura sia di difficile individuazione mediante paradigmi critici o punti di vista appartenenti a una delle due singole aree. In ultima analisi, a mio modesto parere, credo che si sia posta l'attenzione in modo preponderante sulla prima parte della formula Arti/Architettura e si sia esposta Arte e Architettura dimenticando ( o non considerando) che il nodo della questione risieda proprio nel risultato della divisione A/A = ? (ibrido).

Genova, Marzo 2005

 
 

 

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