LEONE D'ORO A BARBARA KRUGER
di Sandro Ricaldone
S'intravede fra gli alberi che contornano il viale d'ingresso ai Giardini, all'ingresso di quello che - impropriamente, dato che ormai da tempo ospita le rassegne internazionali - si continua a chiamare Padiglione Italia, la grande installazione di Barbara Kruger che ricopre l'intera facciata dell'edificio. Un intreccio serrato di scritte che si snoda dall'alto verso il basso con il piglio perentorio dello slogan e la densità dell'aforisma. "Passi alla storia se fai affari" recita in italiano ed inglese il testo principale, critica esplicita all'epoca del business disinvolto e dell'"impresa irresponsabile" (come la chiama nel suo ultimo saggio il sociologo Luciano Gallino) che andiamo attraversando. Questa epigrafe monumentale, scolpita - si direbbe - dalla sagomatura energica dei caratteri, sintetizza i tratti del lavoro che è valso all'artista americana l'attribuzione del Leone d'oro alla carriera, il riconoscimento più prestigioso della Biennale veneziana, aggiudicato nella scorsa edizione a due italiani: Carolrama e Pistoletto.
Le critiche affacciate da più parti circa l'opportunità dell'assegnazione (non pochi avrebbero preferito, fra i partecipanti alle rassegne principali, che del premio fosse insignita Jenny Holzer, la cui opera presenta non poche analogie con l'approccio della Kruger) rimangono nel campo dell'opinabile. Piuttosto andrebbe rimarcato l'anticipo, storicamente indubitabile, degli affondi che i poeti visivi italiani - dai "tecnologici" fiorentini Lamberto Pignotti ed Eugenio Miccini, ai liguri Rodolfo Vitone e Luigi Tola - avevano compiuto nel corso degli anni '60, utilizzando i meccanismi della pubblicità e della comunicazione di massa per "demistificarne", come si diceva allora, i dispositivi di persuasione occulta.
Ma, senza alcun dubbio, le prove dell'artista americana si distinguono per l'inusitato impatto visivo sorretto dall'esperienza maturata come grafica nelle riviste del gruppo Condé Nast: un'impaginazione severa ed efficace in cui le scritte bianche, in caratteri pieni, su bande rosse, attraversano fotografie in bianco e nero estrapolate da giornali e riviste. A quest'impianto, portato a permeare per intero, in una dimensione avvolgente, gli spazi espostivi, invadendo pareti, pavimenti e soffitti, la Kruger associa l'icasticità e la valenza sociale del messaggio, ben rappresentata nella sua opera più celebre, che modifica il celebre "Cogito ergo sum" di Cartesio nel tagliente "I shop therefore I am"(Compro dunque sono).
Come hanno sottolineato le direttrici della manifestazione veneziana, Maria de Corral e Rosa Martinez, la scelta dell'artista è nata dalla sua riflessione "sulle rappresentazioni culturali del potere, dell'identità e della sessualità", che "interroga lo spettatore su temi quali il femminismo, il classicismo, il consumismo, l'autonomia individuale e il desiderio". Un'indicazione "politica" che trova riscontro, anche nel nostro paese, nelle pratiche - forse però eccessivamente condizionate da schemi mutuati dalle discipline sociologiche ed urbanistiche - di un buon numero di giovani emergenti.